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220 | ATTO PRIMO |
SCENA XIII.
Costanza, Felicita con maschera al volto, e detto.
Costanza. (Trattenetevi qui per un poco. Lasciate che io vada innanzi; copritevi il nastro, e quando vi par tempo, avanzatevi). (piano a Felicita, poi si avanza)
Conte. (Spero che si darà a conoscere). Servo, signora maschera.
Costanza. (Gli fa una riverenza, senza parlare.)
Conte. Ero impaziente per il desio di vederla.
Costanza. Dice a me?
Conte. Sarei fortunato, se potessi meritare l’onor di servirla.
Costanza. A me, signore?
Conte. Sì a voi, gentilissima signora maschera, dico a voi.
Costanza. Mi conoscete?
Conte. Per dire il vero, ancora non so chi siate.
Costanza. Bene dunque: così non si parla con una maschera che non si conosce.
Conte. Signora, se non vi conosco nel volto, vi riconosco al segno.
Costanza. A qual segno?
Conte. A quel nastro color di rosa.
Costanza. Bella da vero! Non vi saranno in Venezia altri nastri compagni?
Conte. (Alla voce mi pare la signora Costanza. Se posso, vo’ procurar di chiarirmi). Graziosa mascheretta, comandate il caffè?
Costanza. No signor, vi ringrazio: che se vien mio marito, non voglio che mi conosca.
Conte. Siete voi maritata?
Costanza. Pur troppo per mia disgrazia. Ho sei figliuoli, quattro in casa, uno a balia, e uno per la strada.
Conte. (Quando è così, non è la signora Costanza). (da sè)
Costanza. (Finora il divertimento è bellissimo). (da sè)
Conte. Ditemi in grazia: sareste voi per avventura la bella incognita, che mi ha scritto questo biglietto?
Costanza. Io? Non so nè leggere, nè scrivere.
Conte. Siete una donna ordinaria dunque?