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LE DONNE DI BUON UMORE 219


Conte. Non occorr’altro.

Nicolò. Vuole restar servita del caffè?

Conte. Sì, preparatelo.

Nicolò. L’acqua è sempre calda, il caffè si macina in un momento, in due minuti lo faccio. Da noi, non si accostuma di far bollire il caffè la mattina per il mezzogiorno, e molto meno far ribollire gli avanzi dell’altro giorno. Noi lo facciamo di fresco in fresco, e presto, e buono, e col caffè di Levante, e in materia di caffè i Veneziani sono famosi per tutto, non solo in Venezia, ma in altre parti ancora.

Conte. Voi siete un uomo di garbo, e per chiacchere non avete pari.

Nicolò. Io ho sempre veduto, che le marmotte fanno poca fortuna. Di là mi chiamano; con sua licenza. (parte)

Conte. Eh, in questi caffè anche le marmotte si svegliano. Ma chi mai sarà questa incognita amante, che mi scrive con una sì gran tenerezza? S’è vero quel ch’ella dice, verrà al caffè mascherata, ed avrà per segno un nastro in petto color di rosa. Se viene, farò ogni sforzo per poterla conoscere. Ma chi mai può essere? Non saprei certamente. È poco tempo che io sono in Venezia, non ho gran pratica nè della città, nè delle persone. Può essere, che quella che scrive sia una di quelle signore, che ho veduto ieri sera al festino. Per dire la verità, ce n’erano delle belle. Che fosse la giovinetta a cui ho donato l’anello? Non crederei; è troppo tenera per prendersi tal libertà, ed ho veduto che nel pigliare l’anello si è fatta rossa, e se non era sua madre, forse forse non lo prendeva. Quella certa signora che ha nome Costanza, mi ha fatto anch’essa delle finezze, ma la conosco, è accorta come il demonio. Non è capace di pensare e di scrivere con tal passione. Ma non lo potrebbe fare taluna ancora per corbellarmi? Ecco una mascheretta. Non vedo l’ora di vedere quella dal nastro rosso. Oh cospetto di bacco! Per l’appunto ha la coccarda in petto color di rosa.