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NOTA STORICA

Le Morbinose chiusero felicemente il carnevale 1758 (Goldoni Mem. II, XLI), e noi ascoltando questi lepidi cinque atti ci divertiamo un mondo anche adesso, e ci facciamo un’oncia di buon sangue. «Fra i capi d’opera di bellezza e di finezza», dice la commedia il Meneghezzi (Della vita e delle op. di C. G. p. 170); ritraente pur essa l’ambiente veneziano d’allora, «tutta pranzi, burle e mascherate» il Momigliano (Il mondo poet. del G. ne l’Italia mod. 15 marzo 1907 p. 485)»; «un gioiello» la Maria Ortiz, che egualmente delle Donne de casa soa, e delle Massere «a nessun patto» (e con quanta ragione!) «vorrebbe vedersi priva della veste poetica» (Comm. esot. del G. Napoli 1905 p. 49). Ma curioso assai che alcuni, ultimo il De Guberntis (C. G. Lezioni, Firenze 191 I p. 314), sia pure soltanto per la rassomiglianza del titolo, e perchè anche nella briosa commedia veneziana si tratta di un uomo burlato da donne, abbiano voluto esumare a questo proposito Le allegre comari del Windsor; mentre «la comitiva delle gaie donne veneziane è così essenzialmente diversa dalle non meno gaie comari inglesi, i tiri che giocano a Ferdinando sono tanto più moderati di quelli giuocati a Falstaff, e infine la figura di Ferdinando è tanto lontana da quella del rubicondo protagonista della commedia shakespeariana, da concludere «(scrive acutamente la stessa Maria Ortiz)» assai arrischiato voler stabilire una specie di parentela spirituale tra le due commedie» (La cultura del G. in Giorn. stor. della lett. ital. 1906 vol. XLVIII p. 103). O che le Marinette, e le Felicite, e le Bettine spensieratamente ilari e goderecce, aveva Goldoni bisogno di cercarsele altrove che a Venezia; notate per giunta a mezzo il settecento e in tempo di carnevale, quando il tripudio era ancora maggiore e più diffuso del solito? Neanche per sogno; ed erano del bel numero anche le vecchie, di cui avete un gustoso campione nella Silvestra, ridicola zitellona, sempre in ghingheri e sempre ansiosa di marito. Alla quale non par vero, stimolata dalla furba Marinetta, di scrivere a Ferdinando, il forestiere, ardere per lui d’amore un’incognita che vedrà al caffè mascherata con un nastro color di rosa sul petto; nastro che s’appiccicano bravamente in cinque, e di qua la confusione dello stesso Ferdinando e un ameno viluppo di casi, che hanno per finale le nozze della Marinetta con lui.

L’intreccio è dei più allegri; l’ambiente, una meraviglia; il dialogo, scorrevolissimo; i caratteri, fotografati dal vero. Così, quella vivacissima Marinetta che divide il suo tempo tra l’abbigliarsi con piccante civetteria (a ragione Ernesto Masi trova a questo proposito anche nella prima scena dell’atto primo un riscontro fra il teatro goldoniano e i quadri del Longhi. Vedi Sulla storia del teatro ital. nel sec. XVIII, 1891, p. 271) e il prendersi spasso di tutto, compreso l’amore, terminando poi col restarvi impigliata; quella vecchia Silvestra che malgrado i molti inverni crede poter ancora infiammare qualche bel giovanotto, «tipo comicissimo di cui forse l’Autore si risovvenne nel teatro del Gigli e del Fagiuoli, introdotto anche in altre produzioni quali Le Avventure della