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130 ATTO SECONDO
Nicolò. Galano? no capisse.

Ferdinando.   Qui non dice così?
(gli fa vedere la parola nella lettera)
Nicolò. Sta parola galano no l’ho sentia ai mi dì.
Galan color de rosa, adesso capirò.
Galan, e no galano.
Ferdinando.   Non è tutt’un?
Nicolò.   Sior no.
Vuol dir una cordella bianca, celeste o sguarda;
Ligada, per esempio, in modo de coccarda.
Ferdinando. Ora, ora ho capito. (Chi mi mandò il viglietto,
Avrà per segno un nastro color di rosa in petto).
Nicolò. Me comandela gnente?
Ferdinando.   Sia il caffè preparato.
Nicolò. Lo vorla qua?
Ferdinando.   Preparami un camerin serrato.
Se verran delle maschere, vogliam la libertà.
Nicolò. La perdona, lustrissimo, no posso in verità.
Le botteghe onorate no serra i camerini.
Ferdinando. Non posso a modo mio spendere i miei quattrini?
Nicolò. Lustrissimo patron, mi ghe domando scusa.
In sto nostro paese ste cosse no se usa.
In pubblico se vien a bever el caffè.
E col se beve in pubblico, da sospettar no gh’è.
Femene d’ogni rango da nu la vederà
In tempo delle maschere vegnir con libertà.
Ma co la libertà xe resa universal,
In fazza del gran mondo se schiva el mazor mal.
Ferdinando. Di rendermi sospetto non era il pensier mio.
Quel che gli altri accostumano, vo’ costumare anch’io.
Preparate il caffè.
Nicolò.   Per quanti?
Ferdinando.   Io non lo so.
Nicolò. Co saverò per quanti, subito ghel farò.
L’acqua calda xe pronta, el caffè xe brusà;