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96 ATTO QUINTO
Conte. Tace donna Felicita, e di vedere aspetta

Dal perfido destino compir la sua vendetta.
Il danar non mi scordo però, che mi ha prestato:
Dell’obbligo conservo il foglio lacerato.
E di sudar fra l’armi accetterò il partito.
Finchè abbia il suo danaro a lei restituito.
Felicita. Tacqui finor, volendo mirar fino a qual segno
Giunger può degl’ingrati il trattamento indegno.
Della germana vostra, del suo diletto sposo
Vidi l’amor sincero, vidi il cuor generoso.
Dei servi, degli amici e di un’amante ignota
La fellonia ravviso, l’infedeltà mi è nota.
Pure in faccia di questi, avidi sol dell’oro,
Voi sconoscente, ingrato siete assai più di loro.
Vidi gl’insulti vostri finor con sofferenza,
Ora assai più mi offende la vostra diffidenza.
Credete l’amor mio sì vile e interessato.
Che amar non vi sapessi anche in misero stato?
Qual fui già vi scordaste? o si sospetta e crede
Ch’io il facessi soltanto voi prevedendo erede?
L’amor venga alle prove. Smentisca il cuor maligno
Degli empi innamorati dei beni e dello scrigno.
Conte, voi siete misero, senza speranza alcuna:
Io povera non sono di beni di fortuna.
E se la gratitudine può meritarmi amore,
Vi offro la man di sposa, e vi offerisco il core.
Conte. (Oh generoso affetto! oh cuor fido e sincero!
Oh fortunati inganni, che discopriste il vero!) (da sè)
Brigida. Anche la mia Rosina, signora, il prenderà,
E gli darà di dote quel poco che averà.
(a donna Felicita)
Felicita. Di una rivale indegna, che più di me si stima,
Il mascherato amore vo’ che si scopra in prima.
Galantuomo, venite, e libero parlate. (verso la scena)