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80 ATTO QUINTO
Isabella.   Ancor non ne sa niente.

Fernando. Dovrebbe a queste soglie esser pure arrivato.
Vicino a queste soglie teste l’ho riscontrato.
Ite a veder s’è giunto.
Isabella.   Signor, chiedo perdono...
Fernando. Che volete voi dirmi?
Isabella.   Perdon, se ardita sono;
Vorrei tacer, ma il cuore mi sforza a domandarvi
Qual sarà il mio destino.
Fernando.   Siam qui per consolarvi.
Ite da donna Placida; poscia con lei tornate.
Isabella. Posso sperar davvero?
Fernando.   Sì, figlia mia, sperate.
Isabella. Voi, signor, che mi dite? (a Luigi)
Luigi.   Che un infedel non sono.
Fernando. Quel ch’io dissi, non basta? (a donna Isabella)
Isabella.   Sì, mio signor, perdono.
(s’inchina, e parte)

SCENA VIII.

Don Fernando ed il Duca, poi Beltrame.

Luigi. Veramente che dirle io non sapea, signore.

Vive confuso e incerto finora anche il mio core.
Ho di sperar motivo, se ragionare io v’odo;
Ma di ottener la pace non è sicuro il modo.
Fernando. Verrà donna Marianna. Ho la carrozza inviata.
Spero, s’è ragionevole, non ritrovarla ingrata.
Sì, nipote carissimo, pur che mi sia concesso
Tutti veder contenti, sacrifico me stesso.
Chiede donna Marianna giustizia, o pur vendetta;
A un cavalier la chiede, dall’onor mio l’aspetta.
E se di voi la giovine può lusingarsi invano,
Risarcir le sue perdite vogl’io colla mia mano.
Ecco un sforzo novello del mio paterno amore,
Per la cara Isabella che m’incatena il cuore.