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IL PADRE PER AMORE 77
Beltrame. Accostatevi un poco. (a Pasquale)

Placida.   Eccolo il mio tesoro.
L’allegrezza mi opprime. Chi mi sostiene? io moro.
Beltrame. Ehi, ehi, che cosa fate? Vi vien mal, poverina?
State allegra, signora, che è qui la medicina.
Placida. Adorato consorte, venite alle mie braccia.
(incontrando Pasquale che arriva)
Pasquale. (Vorrei e non vorrei. Non so quel che mi faccia).
(da sè)
Placida. Caro il mio don Roberto, dopo tant’anni e tanti,
Sì mesto e sì confuso mi comparite innanti?
Deh fate ch’io vi vegga rasserenar le ciglia.
Pasquale. S’io son qual mi vedete, non è gran maraviglia.
Ho sospirato il giorno d’essere a voi vicino;
Or di avervi trovata maledico il destino.
Placida. Stelle! in codesta voce, insolita all’udito.
Di ravvisar non parmi la voce del marito.
Veggo i segni del volto, son dessi, io lo conosco,
Ma non avea Roberto l’occhio turbato e fosco.
Quelle dolci maniere dal mio Roberto usate.
Come ha in rozzo costume lunga stagion cangiate?
Stelle! chi mi assicura del mio Roberto in esso?
Beltrame. Testè l’ha conosciuto il mio padrone istesso.
E una certa signora venuta di Messina,
E la di lei servente, nomata Paolina,
Fatto il viaggio con esso in un istesso legno.
Per conoscerlo bene mi han dato il contrassegno.
(gli tocca il naso)
Pasquale. Vorreste non conoscermi ai segni della faccia,
Perchè avete paura ch’io vi rompa le braccia.
Placida. Che favellare è questo?
Pasquale.   Orsù, in una parola,
È ver, signora mia, che avete una figliuola?
Placida. Ah sì, de’ nostri amori nacque il frutto innocente.
Pasquale. Come de’ nostri amori? di questo io non so niente.