Chi son io, lo sapete; nata d’illustre sangue,
Di cui la gloria antica per povertà non langue.
Se avesse il padre mio meno l’onor sentito,
Nei pubblici governi sarebbesi arricchito;
Ma seguitò degli avi le tracce ereditate,
Servì per la mercede dell’anime onorate.
Nei secoli non pochi che conta il mio casato,
Con nozze indecorose ancor non fu macchiato.
Nè io sarò la prima che lo deturpi ardita,
Ad onta d’ogni insulto, a costo della vita.
Con tutta la famiglia il Duca è debitore
D’avere un’innocente tradita nell’onore.
Ed io, che ultima sono del tralcio sventurato,
Non lascierò il mio sangue nell’onta invendicato.
Io stessa al mio Sovrano andrò a gettarmi al piede,
Domanderò vendetta, se negasi mercede.
E della Corte in faccia, prostrata al regal trono...
Ah, il dolor mi trasporta; signor, chiedo perdono.
Di un protettore in faccia, amabile e cortese,
Non temo di sventure, non dubito di offese.
Voi di giustizia il trono nel vostro cuore ergete.
Voi padre mio cortese, giudice mio voi siete.
Fernando. (Ah, chi può abbandonarla?) Vorrei vedervi lieta,
Ma una ragion si oppone, un altro amor m’inquieta.
Il Duca in età tenera al vostro bel si arrese,
Ora da voi lontano d’altra beltà si accese.
Sposo di tal donzella...
Marianna. Come! e chi fia l’indegna,
Che d’involarmi il cuore del traditor s’impegna?
Conoscer la vorrei, e di rossor vermiglia
Rendere quell’audace.
Fernando. Codesta è una mia figlia.
Marianna. Signor, del vostro sangue la mia rivale è nata?
Figlia per cotal padre felice e fortunata!
S’ella nella virtude imita il genitore,