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IL PADRE PER AMORE 49
Luigi. Ah, che tentar mai posso contro una donna irata?

Me la conduce in faccia la mia fortuna ingrata.
(ripone la spada)
Marianna. Su gli occhi miei, lo veggo, sei men crudele e audace.
Guerra con me non brami; m’offri contento e pace.
(getta la spada)
Misero don Luigi! quanto avran fatto e quanto
Al tuo docile cuore per lavorar l’incanto!
Già ti vedea d’intorno folti congiunti e amici,
Nozze proporti illustri sotto i reali auspici.
So gli argomenti accorti, so le ragion che avranno
Dette per obbligarti, i perfidi, in mio danno.
E tu misero e solo, confuso e a me distante.
Rendesti a poco a poco quell’anima incostante.
Credi tu ch’io non sappia, che il tuo bel cuore afflitto
Vide me con isdegno a lacerar lo scritto?
E che dubbioso ancora ch’io fossi a ciò forzata,
Mi condannasti a torto, e mi dicesti ingrata?
No, non lo son, tel giuro, eccomi a te dappresso
Con quell’amor di prima, con il mio core istesso.
Son quella stessa ancora, che sì ti piacque un giorno.
Ho quelle grazie istesse, che mi scorgesti intorno.
Queste misere luci, che tu lodasti tanto,
Che al tuo bel cor gentile fecero il dolce incanto,
Mirale, son pur desse, e queste guance ancora.
Idolo mio, son quelle che vagheggiasti allora.
Povera sono, è vero, ma lo sapesti in prima.
Non ho colpa novella, onde scemar di stima.
Son di te degna, o caro, se ti consiglia amore;
Se mi abbandoni, ingrato, hai d’una belva il core.
Paolina. Signor che mi sfidaste, donna anch’io mi confesso,
E queste son quell’armi che adopra il nostro sesso.
Luigi. Ah sì, donna Marianna, son di rossor ripieno,
I rimproveri vostri mi han penetrato il seno.
E le dolci parole mi hanno talmente oppresso,