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trucci [Lorenzo] nel carattere dell’imbecille suo sposo. A questo valentissimo caratterista non pregiudicano punto i suoi fisici impedimenti, quando si tratta di manifestare la propria abilità in una parte di vero artista... La giovinetta protagonista, signora Gherardi [Erminia], penetrò anch’essa accortamente lo spirito della sua parte e ce lo rese in tutta la sua purezza... Il personaggio sostenuto del Conte è adattatissimo ai mezzi del signor Tessero [Giovanni], e fu quindi da esso con molto valore rappresentato»; «grandissimo partito» si può trarre «dal signor Vergnano [Corrado] nei caratteri disinvolti e brillanti, e come sempre lo provò egli in questa parte del Cavaliere. Quella del Duca era affidata ad un giovine alquanto freddo, non mancante però d’intelligenza... Madama Daldosso nel suo carattere di servetta è graziosissima... Anche i due domestici corrisposero al valore dei loro compagni, e contribuirono a rendere l’esecuzione di questa commedia in tutte le sue parti compiuta. Una commedia bellissima ci fu dunque data benissimo dalla compagnia drammatica Petrelli» E qualche settimana dopo, il medesimo cronista ripeteva di Luigia Petrelli: «Ultimamente nella Sposa sagace ci dipinse essa al vivo tutte le finezze ed arguzie goldoniane di donna Petronilla colla più vera illusione»; e di Lorenzo Petrucci: «Nella Sp. s. soprattutto egli mi sembrò impareggiabile» (ivi, n. 68).
Si sa però che i vari governi italici avanti il 1859 esercitarono con predilezione la censura contro questa incolpevole figlia di papà Goldoni, e ne stroncarono qua e là i martelliani in nome della morale, per la salvezza delle anime timorate. Un esemplare della commedia, che esiste presso il Museo Correr di Venezia, porta ancora i segni ingloriosi dei tagli e delle correzioni, i sì e i no dei commissari di polizia (v. art. di Ricciotti Bratti, C. G. e la Polizia, n. 4, A. II della Settimana, Ven. 4 maggio 1907). D ’immoralità la Sp. spuzzava anche al Meneghezzi (Della vita e delle op. di C. G., Milano, 1827, p. 149). E a Ferd. Martini parve che qui e nella Bottega dei caffè e nei Rusteghi scivolassero «nel dialogo tali sconcezze e giuochi di parole così triviali, che oggi basterebbero a mettere un autore al bando delle persone educate» (Al teatro, Firenze, 1895, p. 17; copiò non le parole, ma il concetto Zoe Bosio, Il teatro dialettale venez. e l’opera di L. Sugana, Roma, 1905, p. 27). L’arguto scrittore esagera. Scherzi più audaci trovammo nel teatro goldoniano; e il dabbene scrittore dei Principi morali del teatro, Pietro Schedoni, proprio dei Rusteghi e della Sposa sagace non fece caso.
Un’accusa in apparenza più grave lanciò il Landau (Geschichte der ital. Litteratur im 18 Jahrhundert, Berlin, 1899, p. 421 ), ripetuta anche da R. Schmidbauer (Das Komische bei G., München, 1906, p. 20), che il Goldoni abbia tolto l’idea della propria commedia dal Nelli. Fin dal carnovale del 1710, come appare dalla lettera dei 15 marzo al Benvoglienti (F. Mando, Il più prossimo precursore di C. G., Firenze, 1904, p. 153), aveva l’abate senese fatto recitare a Roma il suo Viluppo, che uscì stampato molti anni più tardi a Siena, nel 1755 (col titolo il Matrimonio per astuzia o il Viluppo), e potè esser conosciuto dal commediografo veneziano sia manoscritto, sia nella stampa: ma le affinità con la Sposa sagace sono di tale natura, che non conviene far merito al Nelli di ciò che appartiene in generale al teatro nostro e di fuori prima del Goldoni, dove i servi sono sempre mezzani di matrimoni. Basti dire che il Toldo giudicò il Viluppo «un embrouillement de differents sujets mo-