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542 ATTO QUINTO
Duca. Quel ch’è mio, non lo cedo; son risoluto in questo.

Cavaliere. Donna Barbara è mia, lo dico e lo protesto.
Barbara. Ambi ragione avete. Sua ciaschedun mi crede,
Ciascun serba i suoi dritti; e quel ch’è suo non cede.
Ma che direste voi, se fosse questo cuore
Molto prima impegnato a un terzo possessore?
Duca. Come potrà ciò darsi, se or vi marita il padre?
Cavaliere. Non lo saprian le genti? non lo sapria la madre?
Barbara. Orsù, siamo agli estremi, ed il celarsi è vano.
A voi ragion mi stimola di confidar l'arcano.
Ma nel svelarlo, intendo depositarlo in cuore
Di chi sa, di chi intende le legge dell’onore.
Siete due cavalieri, in cui non può ragione
Cedere bassamente l’impero alla passione.
Una figlia onorata, dal rio destino oppressa,
A voi fida l’onore, a voi fida se stessa.
Una che agli occhi vostri non fu d’amore indegna,
A renderle giustizia due cavalieri impegna.
È ver, se d’altro laccio vanto legato il cuore,
Meco dovria saperlo la madre e il genitore;
Ma che sperar poteva da un padre affascinato,
Dal cuor di una matrigna che mi fu sempre ingrato?
Chi lusingar potevami, che le nascesse in petto
Brama di collocarmi per onta e per dispetto?
E prevedendo ancora in lei cotal disegno,
Chi degli affetti miei potea cangiar l’impegno?
Fui d’altro amore accesa; l’amor mi ha consigliata.
L’occasion mi sedusse; la mano ho altrui legata.
Se dell’onor vi cale, se cavalier voi siete,
Custodite l’arcano. Ecco il mister. Leggete.
(Presenta ai due cavalieri la scrittura del Conte; essi l’osservano unitamente.)
Cavaliere. Duca?
Duca.   Amico?
Cavaliere.   Che dite?