Di me vuol liberarsi, credendomi apprezzata;
Giubilerà vedendomi derisa e beffeggiata.
E il genitor pur troppo timido per natura,
Cauto voi lo vedrete tacer per la paura.
Per me, vi do licenza di farmi ogni dispetto,
Pur troppo so d’avere in me più d’un difetto;
E in grazia di vedermi dal labirinto sciolta,
Dite ch’io non vi merito, ditemi sciocca e stolta.
Il cuor dall’amor vostro questa mercede attende.
Chi mi disprezza, io stimo, chi mi vuol sua, mi offende.
Duca. Il soddisfarvi in questo sì facile non credo.
Io sprezzar donna Barbara? L’adoro, e non la cedo.
Non può di voi disporre una matrigna ardita.
Sosterrò la ragione a costo della vita.
Cavaliere. Io vi amai da gran tempo, ma non ardia di dirlo.
Desidero un gran bene, e sentomi offerirlo;
Mi vien da chi dispone offerta quella mano,
E dovrei rinunziarla? No, lo sperate invano.
Barbara. Dunque che far pensate? (al Duca)
Duca. Deh! non l’abbiate a sdegno.
Pensi don Policarpio a sostener l’impegno.
Cavaliere. S’egli della figliuola disponere volea,
L’arbitrio alla consorte lasciare non dovea.
Se donna Petronilla meco fermò il contratto.
Avrà il poter di farlo, saprà perchè l’ha fatto.
E se al marito a fronte femmina sol non basta,
Mi unirò seco io stesso contro chi a lei contrasta.
Duca. Orsù, ai vostri raggiri tronchisi ormai la strada,
Facciam le pretensioni decidere alla spada.
Cavaliere. Sì, la disfida accetto.
Duca. Io vi precedo.
Cavaliere. Andate.
Barbara. No, fermatevi, dico. (al Duca) No, Cavalier, restate.
Pria di partire, uditemi. Cosa vogl’io narrarvi,
Che se ragione avete, valerà a disarmarvi.