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46 | ATTO SECONDO |
SCENA V.
Paolina e donna Marianna.
Marianna. Il cavaliere ricevere tu dei:
Principia destramente parlar de’ fatti miei.
Fingiti un mio congiunto, a lui da me mandato,
A chiedergli ragione d’avermi abbandonato.
Sentiam dalla sua voce, se meco è sconoscente,
O se udendo il mio nome, quel perfido si pente.
S’egli ti parla ardito, rispondi con orgoglio.
Paolina. Signora, voi volete mettermi in un imbroglio.
Marianna. Non dubitar di nulla, ch’io veglierò in disparte.
Usa, per compiacermi, usa l’ingegno e l’arte.
Vedo venir l’ingrato. M’accende il mio furore;
Ma pria d’usar lo sdegno, vuò discoprir quel core.
(Si ritira)
Paolina. Eh, per la mia padrona veggo l’affar finito.
Che può sperar dal Duca d’altra beltà invaghito?
Eccolo; pagherei non essermi impicciata.
Ma se di no le dico, la veggo indiavolata.
Basta, quel che ho da fare lo spiccio presto presto;
Ed a lei, se m’imbroglio, lascio compire il resto.
SCENA VI.
Il Duca don Luigi e donna Marianna ritirata.
Se udire i cenni vostri finora ho ritardato.
Paolina. Della vostra bontade, signor, vi son tenuto.
Siete bastantemente sollecito venuto.
Luigi. Che avete a comandarmi?
Paolina. Signor, compatirete
Se ardisco incomodarvi...
Luigi. Posso saper chi siete?