Di posseder credendo un merito infinito,
Le visite coltiva, coltiva i cicisbei,
E guai se uno mi guarda, li vuol tutti per lei.
Finor quanti partiti a me son capitati,
Con arte e con malizia li ha1 tutti attraversati.
E intanto passan gli anni senza speranza alcuna,
Malgrado alla mia dote, di ritrovar fortuna.
Sol colla cara sposa il padre si consiglia,
E l’ultima di tutti son io nella famiglia.
Fra l’amor che mi sprona, e il trattamento indegno,
Entrai da risoluta nel periglioso impegno.
So che ciò non conviene a giovane bennata,
Ma ragion non conosce un’alma innamorata.
Sì, maritarmi io voglio... Dormi, Lisetta?
Lisetta. Oibò. (svegliandosi)
Barbara. Cosa ho detto finora?
(Mariano si addormenta in piedi, barcollando)
Lisetta. In verità nol so.
Barbara. Dunque così mi ascolti? (a Lisetta)
Lisetta. Perdon, per carità.
Barbara. Usi colla padrona sì bella inciviltà?
Quel che finora ho detto, laverò detto invano?
Lisetta. Mi darei delle pugna.
Barbara. Parlerò con Mariano.
(voltandosi a Mariano, lo vede addormentato)
Povera me! Mariano. (destandolo)
Mariano. Seguiti pur.
Barbara. Vigliacco!
Mariano. Per carità, signora, datemi del tabacco.
Barbara. Piglialo, e se più dormi.... (gli dà una tabacchiera d’argento)
Mariano. No certo, infino a sera.
Se ho tabacco, non dormo.
Lisetta. (A lui la tabacchiera?) (da sè)
- ↑ Nelle edd. del Settecento è stampato l’ha, o gl’ha.