E un’ora innanzi giorno non ci possiamo alzare.
(sbadigliando)
Io non so questa notte che novità sia questa...
Sento cascarmi il cuore... non posso alzar la testa.
(si addormenta)
Barbara. Svegliati per un poco, poi tornerai sul letto. (a Lisetta)
Mariano... Eccolo lì, che tu sia maladetto.
Mariano. (forte)
Mariano. Sì, signora.
(svegliandosi, ed alzandosi impetuosamente)
Barbara. Via, non facciam più scene. (a tutti due)
La cosa è di premura, ascoltatemi bene.
Mariano. Parli pure, comandi. (strofinandosi gli occhi)
Barbara. Tanto di voi mi fido.
Che un grandissimo arcano vi svelo e vi confido.
Ma pria di palesarlo, voglio che v’impegnate
A perpetuo silenzio, e vo’ che lo giuriate.
Mariano. Giuro al ciel ch’io non parlo.
Lisetta. Prometto al cielo anch’io.
Barbara. Se fedeli sarete, saprò l’obbligo mio.
Ma se per ignoranza mancaste, o per malizia,
Colle mie mani istesse mi saprò far giustizia.
Mariano. Per me non vi è pericolo.
Lisetta. Non manco al giuramento.
Barbara. Uditemi, figliuoli... Vi svelo il mio tormento. (siede)
Amo perdutamente, nè spero il mio riposo,
Se il mio tenero amante non conseguisco in sposo.
Ad onta di quel foco che arde d’entrambi il core,
Pavento la matrigna, pavento il genitore.
Il padre poco o nulla comanda in queste soglie,
Dispone a suo talento la sua seconda moglie.
(Lisetta si appoggia allo schenale della sedia, e si addormenta)
Ella ch’è nata dama, pretende di volere
Suppeditar mio padre, ch’è un ricco finanziere.
Arbitra della casa, arbitra del marito,