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Altre rime spandono tal profumo da metter fuor della grazia di Dio censori dall’olfatto delicato. P. e:

...signor zio, cos’è stato?
Cosa vi viene? — Un flato.
Le cose ch’ella dice sono piene di sali.
E voi mi risvegliate gli effetti matricali.

Poteva il brutale realismo di figure, scene, lingua non urtare i critici del buon tempo che fu? Se lo Schedoni non parla della D. d. g., non deve averla letta. Ma il Meneghezzi non risparmia parole severe al commediografo, il quale, caricata Valentina di tutta la malvagità di cui è capace creatura umana, le decreta poi un castigo impari ai suoi trascorsi. «Or qual donna — conclude — non seguirebbe l’esempio di Valentina, giacchè può uscirne a sì buon patto? (Della vita e delle opere di C. C. Milano, 1827, pp. 150, 151). «Babbo Goldoni», «il buon Goldoni» - ahimè! - s’era mostrato, non certo per la prima volta, il pittore che non intende discretamente adombrare o attenuare di qualche po’ di roseo la crudezza del quadro abbozzato. Il poeta in fondo nella foga del comporre faceva il comodo suo. Quando poi il consueto ravvedimento finale non gli pareva bastasse a distruggere l’incresciosa impressione lasciata dal dramma, aggiungeva nelle premesse edificanti considerazioni sulle parti da farsi in teatro al vizio e alla virtù. Nello stesso anno, in cui il Meneghezzi lanciava i suoi fulmini contro Valentina, al Teatro Re di Milano la Compagnia Ducale di Modena (della quale, tra altri, facevan parte il Bon e la Romagnoli) ne rievocava le gesta. Di su i Teatri, l’ottimo ma punto goldonifilo giornale del Ferrano, questa ripresa provocò una lunga, violenta diatriba diretta da un anonimo a un signor C.P.A.M. che andava «estatico alle bellezze della Commedia» e l’aveva collocata poco meno che fra i capolavori del Goldoni. L’amico — nuovo Goldoni contro Gozzi — aveva detto d’aver patrino il pubblico, perchè l’avea applaudita e n’avea chiesta la replica. «Divertirsi ad una commedia e volerne ancora la replica, non è sempre un dire: la commedia è bella», risponde l’anonimo, e del buon esito dà il merito quasi solo alla «perfetta esecuzione», tant’è vero che pochi anni prima — lo stesso pubblico — del veneziano non voleva più saperne. S’era lasciato riconquistare? Il merito andava tutto alla Compagnia di Modena, specializzatasi nel repertorio goldoniano. Seguono poi come in una vera requisitoria, punto per punto, i singoli capi d’accusa che, in poche parole, si compendiano nella malvagità e volgarità dei personaggi e del loro eloquio. Fin qui si scorge il moralista offeso e il critico che vuole la scena con arte nobile e serena elevi lo spettatore dalle bassure del nostro misero mondo. Ma che dire di queste novissime ragioni? «Fortunatamente gl’Italiani sono pervenuti ad un grado bastante di educazione e di coltura per annoiarsi alla lunga della monotonia delle faccende del volgo e per cercare di scorgere i labirinti del cuore umano tra le persone che appartengono alla più scelta società». Fra esse il critico vuole scorgere i viziosi perchè «muove la nostra curiosità il conoscere come ciascun di costoro cerchi palliare i vizi del cuore con la maschera della gentilezza e della urbanità. E gli stessi personaggi virtuosi, oh come ne son più cari, se la loro virtù, posta in maggiore contrasto dalle variate combinazioni