Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1912, XV.djvu/461


NOTA STORICA


Nella copiosa produzione goldoniana motivi e figure di necessità si ripetono, seppur rinnovandosi. Incontrammo già la Castalda, la Donna vendicativa, la Serva amorosa, la Cameriera brillante, le Massere: teoria di fantesche, che dalla femmina interessata, malvagia, delittuosa (D. vendicativa) sale per gradi alla donna che si sacrifica al bene della famiglia non sua (Serva amorosa). Esce dal ceto della gente di servizio anche la Donna di governo, e, ultima eco di questa predilezione o meglio disposizione di Carlo Goldoni a favorire il ruolo della servetta (cfr. Ciampi, La vita artistica di C. G., Roma, 1860, p. 23), giungerà di Francia L’amor paterno ossia la Serva riconoscente.

Non nuovo il titolo di questa commedia sulle nostre scene. Di una Donna di governo del Chiari il Goldoni in lettera del 10 ottobre 1750, da Venezia, all’Arconati Visconti scrive: «andò a precipizio» (Spinelli, Fogli, ecc., p. 14), nè altro se ne sa.

Valentina ricorda assai da vicino la donna vendicativa. Ne divide l’avidità e disonestà a profitto d’un amante, le arti lusingatrici col vecchio padrone e il malanimo verso gli altri della famiglia. Ma più che alla Vendicativa questa Donna di governo fa pensare alla Serva padrona (1731) di J. A. Nelli. Esaltano tutte e due le brave massaie il valore delle loro fatiche. Senza Valentina «sarebbe la casa in precipizio». E la consorella: «ogni cosa tocca a fare alla povera Pasquina». Derubano allegramente il padrone e la refurtiva passa nelle mani della complice servitù e parentela: il più e il meglio, a conto di dote, diventa preda degli amanti. Se quella buona lana di Baldissera gioca roba e quattrini, il suo degno precursore, garzone di macellaio, pianta la stagionata ganza e sparisce con tutto il bottino. Son messe alla porta tutte e due le megere, ma Arnolfo non si commove e non perdona come Fabrizio. Nel Nelli, anche pei troppo frequenti cambiamenti di scena, l’azione è d’una pesantezza esasperante. La tecnica tradisce l’inesperienza di chi viveva ben lontano dal palcoscenico. Non gli va certo negato il fine argutissimo garbo di qualche scena, ma il teatro del colto abate senese, che fu detto «il più prossimo tra i precursori del Goldoni» e «di gran lunga il più notevole» (Moretti, Prefaz. alle Commedie di J. A. N., Bologna, 1883, voi. I, p. II), è anzitutto un teatro da filodrammatici.

Tolte le due figure principali e le linee maestre della tela, lo svolgimento nella D. d. g. è ben altro. Vi è assai più serrata e più viva l’azione. Reca una nota nuova al soggetto tanto sfruttato il martelliano. Spesso però la veste poetica consiglia alla Musa frettolosa rime di gusto scellerato. P. e.:

.....Sentiam quel che sa dire.

Quando vi vedo in collera, mi sento interizzire.
Non ha nessun al mondo che le procuri il vito.
Bisogno ha di soccorso, bisogno ha di marito.
S’ella fosse mia figlia, le darei tante botte.

Che vorrei le restassero i segni in sulle gotte.