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450 ATTO QUINTO
Baldissera. (Almeno aver procura da viver per un poco).

Valentina. (L’anello? I cento scudi?)
Baldissera.   (Ah, li ho perduti al gioco).
Valentina. (Ah Felicita indegna! m’ingannò ancora in questo).
Baldissera. (Oh gioco maladetto! ti lascio e ti detesto).
Dorotea. Bene, signor notaro, distenderà i contratti.
Già ha inteso delle doti le condizioni e i patti.
Intanto per non perdere questa giornata in vano,
Tutti quattro gli sposi si porgano la mano.
Giuseppina. Signor zio, si contenta? (a Fabrizio)
Fabrizio.   Sì, vi do la licenza. (arrabbiato)
Fulgenzio. Permette, signor zio? (a Fabrizio)
Fabrizio.   Sì. (arrabbiato) (Non ho sofferenza).
Rosina. Signor, mi fa la sposa? (a Fabrizio)
Fabrizio.   Ma sì, ma sì, l’ho detto.
(come sopra)
Ippolito. Mi farebbe la grazia?... (a Fabrizio)
Fabrizio.   Lo fanno per dispetto.
(battendo i piedi, ed Ippolito si spaventa)
Dorotea. Cosa occorre che andate a rendergli molestia?
Non lo sapete ancora che Fabrizio è una bestia?
Fabrizio. Una bestia? una bestia?
Dorotea.   Siete gentile, umano.
Via, via, che si finisca; porgetevi la mano.
(ai quattro sposi)
Fulgenzio. Siete mia. (dando la mano a Giuseppina)
Giuseppina.   Sono vostra. (dando la mano a Fulgenzio)
Ippolito.   Ecco la man. (a Rosina)
Rosina.   Pigliate, (ad Ippolito)
Dorotea. Cento miglia lontani da quel demonio andate.
(accennando Fabrizio)
Fabrizio. No, un diavolo non sono, io sono un insensato,
Or che da quella ingrata son stato assassinato.
Barbara, hai tanto cuore? Non ti fo compassione?
Potrai abbandonare il povero padrone?