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LA DONNA DI GOVERNO 449
Baldissera. La dote? (o Valentina)

Valentina.   Quanto ho al mondo, vo’rendere al padrone.
Baldissera. Rendimi dunque tosto tu pur l’obbligazione.
(a Felicita)
Valentina.   Che obbligazion?
Baldissera. Per fare ch’io fossi tuo marito,
Di quattrocento scudi l’obbligo mi ha carpito.
E il notar l’ha soscritto. (accennando il Notaro)
Notaro.   Io fei quel che m’han detto.
Valentina. Rendigli quello scritto. (a Felicita)
Felicita.   Fattene un fazzoletto.
(dando la carta a Baldissera, e parte)
Dorotea. E ben, con quest’istorie, signor, cosa faremo?
(a Fabrizio)
Fabrizio. Non mi rompete il capo.
Dorotea.   Noi ci rimedieremo.
Si farà un memoriale, e si vedrà in poch’ore,
Se possa più in Milano voi o il governatore.
Fabrizio. Non mi seccate più, fate quel che volete.
Andate, andate subito al diavol quanti siete.
Ah strega disgraziata! (a Valentina)
Valentina.   (Pure ancor mi vuol bene). (da sè)
Dorotea. Orsù, nipoti mie, risolvere conviene.
Ecco pronto il notaro; non mancan testimoni!
Senza seccar lo zio, facciamo i matrimoni.
(il Notaro prende in nota i nomi dei quattro sposi)
Fabrizio. Avesti cor?... Briccona. (a Valentina, singhiozzando)
Baldissera.   (Ritornerà qual fu).
(piano a Valentina)
Valentina. (Ma di quell’arti indegne io non mi vaglio più).
(a Baldissera)
Baldissera. (S’ha da mangiar).
Valentina.   (Lavora).
Baldissera.   (Basta. Si proverà).
Valentina. (Se sarai galantuomo, il ciel t’aiuterà).