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448 ATTO QUINTO
E da un error passando a più studiati eccessi,

Giunsi a sposar l’amante sugli occhi vostri istessi.
Era per me il contratto. A voi da me fu letto,
Tacciando de’ vostri occhi il debole difetto.
Sostituito ho il nome, e i scudi diecimila
Letti da me con arte non son che quattromila.
Di quattromila scudi son ricca a vostre spese;
Renderli son disposta a voi senza contese.
Povera son venuta, povera tornar voglio.
Detesto le menzogne, detesto il folle orgoglio.
So che merto castigo, so che un’ingrata io sono.
Eccomi a’ vostri piedi a domandar perdono.
(si getta a’ piedi di Fabrizio)
Fabrizio. (Sì mostra confuso fra la rabbia e l’amore, facendo alcuni movimenti che mostrano le due passioni.)
Ah trista!... (oh me infelice!...) Vattene... (Ah mi martella!)
Che tu sia maladetta... Alzati... (Oh sei pur bella!)
Dorotea. Brava, signora sposa!
Giuseppina.   Valentina garbata!
Valentina. Abbastanza, signore, son io mortificata.
La caritade insegna non avvilir gli oppressi.
Tutti abbiamo bisogno di esaminar noi stessi.

SCENA ULTIMA.

Felicita, Baldissera e detti.

Felicita. Sorella, cos’è stato? (a Valentina)

Baldissera.   Cos’è stato, cognata? (a Valentina)
Fabrizio. Fuor di qua, manigoldo. (a Baldissera) Fuor di qua, scellerata.
(a Felicita)
Baldissera. A me? che cosa ho fatto?
Felicita.   A me? siete impazzito?
Valentina. Sorella, Baldissera si sa ch’è mio marito.
E voi che a questo passo mi avete consigliata.
Meco a parte sarete della fortuna irata.