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444 ATTO QUINTO
Dorotea. Andiam, venite meco; andiam, vo’ che parliamo.

Se c’è, facciamo subito, s’egli non c’è, aspettiamo.
Che parli di rttiro, che torni a far il pazzo;
Che il diavolo mi porti, se anch’io non lo strapazzo.
(parte)
Giuseppina. Andiam, signor Fulgenzio. Vo’ che mi senta il zio.
Se vuol dotar la serva, non lo ha da far col mio.
Per darlo a quella indegna, toglierlo a me procura;
Ma si farà dal giudice stracciar quella scrittura.
Mia zia fa gran parole, ma io farò dei fatti.
La giustizia per tutto sa castigare i matti. (parte)
Fulgenzio. Venga, signor notare.
Notaro.   Dove?
Fulgenzio.   Venga con noi.
Venga; ricompensati saranno i passi suoi.
(L’aspetto della sorte spesso cambiar si vede,
E talor da un disordine un ordine procede).
(da sè, e parte)
Notaro. (Per quello che si sente, par vi sia dell’imbroglio.
Per me basta che paghino, altro cercar non voglio).
(da sè, e parte)
Ippolito. Ci hanno lasciati soli. (a Rosina)
Rosina.   Andiamcene ancor noi.
Ippolito. Non potrei un pochino solo restar con voi?
Rosina. Signor no, non conviene; soli staremo allora
Che saremo sposati.
Ippolito.   Cara, non vedo l’ora. (partono)

SCENA IX.

Altra camera.

Valentina sola.

Povera me! che sento? La trama è già svelata.

Manco mal che Tognino di tutto mi ha avvisata.
Sanno il mio matrimonio, e credono sinora