Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1912, XV.djvu/449


LA DONNA DI GOVERNO 441
Fulgenzio. Amico, mi consolo. Siete alfin maritato.

Ippolito. Non ancora.... ma spero...
Fulgenzio.   Non siete voi sposato?
Ippolito. Sposato no, promesso. Non è vero, Rosina?
Rosina. È vero.
Ippolito.   Ho ben speranza di farlo domattina.
Fulgenzio. Ma il notar Malacura steso non ha il contratto?
Non faceste la scritta?
Ippolito.   Non ne so niente affatto.
Giuseppina. Ecco, signor Fulgenzio, codesta è un’invenzione.
Dorotea. Ma se l’ho sempre detto che Fulgenzio è un minchione.
Fulgenzio. Ora son nell’impegno. Voglio vedere un poco
Se ritrovo il notaro; so del suo studio il loco.
Vado e vengo, signore. Vi prego ad aspettarmi.
Dorotea. Andate, scimunito.
Fulgenzio.   Se è ver, saprò rifarmi.
(a Dorotea, e parte)

SCENA VII.

Giuseppina, Dorotea, Rosina, Ippolito e Tognino.

Ippolito. Cara la mia Rosina. (facendole uno scherzo)

Giuseppina.   Ehi, state con rispetto. (ad Ippolito)
Ippolito. Non è mia?
Giuseppina.   Non ancora.
Ippolito.   Oh muso benedetto, (a Rosina)
Giuseppina. Credetemi, signore, sì facile non è.
Che veggasi Rosina sposar prima di me.
Ippolito. Eh signora cognata, si sposi quando vuole.
Le auguro di buon core pace, salute e prole.
Dorotea. E potrà darsi ancora che della cara sposa
Vadan le nozze in fumo.
Ippolito.   In fumo? per che cosa?
Rosina. Non crederei.
Dorotea.   Può darsi.