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LA DONNA DI GOVERNO | 437 |
Giuseppina. Vedo che il caso mio...
Dorotea. Parlate con amore, come vi parlo anch’io.
Dite bene, al Governo ricorrere possiamo;
Facciasi il memoriale, e a presentarlo andiamo.
Giuseppina. Ma vi vuol protezione.
Dorotea. Che protezion! venite.
Voglio che a questo vecchio promovasi una lite.
Vo’ che restituisca quel che ha il fratel lasciato,
E vo’ che renda conto di quel che ha maneggiato.
E a forza di litigi vo’ farlo intisichire.
Voglio che me la paghi, se credo di morire.
Giuseppina. E intanto che si litiga, ch’io maltrattar mi senta.
Dorotea. Che diavolo vi vuole per rendervi contenta?
Giuseppina. Giustizia, protezione, e andarmene di qua. (con ira)
Dorotea. Un malan che vi colga, giustizia vi sarà.
Giuseppina. Ma se voi...
Dorotea. Ma se io...
SCENA II.
Fulgenzio e dette.
So che il signor Fabrizio di casa è uscito fuore;
Onde di riverirvi presa ho la libertà,
Perchè bramo d’un fatto saper la verità.
Giuseppina. Certo; lo zio pretende che in un ritiro io vada.
Dorotea. Ma con un memoriale gli troncherem la strada.
Fulgenzio. Non parlava di questo, perchè lo so benissimo,
Che a simile violenza lo schermo è facilissimo.
Desidero sapere come la cosa è andata,
Come fu la sorella da Ippolito sposata. (a Giuseppina)
Giuseppina. Rosina?
Fulgenzio. Sì, signora.
Dorotea. Sposata?