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404 ATTO TERZO
Ed io che osservatrice talora esser mi vanto,

So tutta la condotta del suo felice incanto.
Uditela, germana, e giudicate poi,
Se vi par ch’io sia furba un pochin più di voi.
Costei venuta in casa per serva da cucina
Si diede da principio a far la modestina;
In compagnia degli altri, o in camera soletta,
Stava cogli occhi bassi e colla bocca stretta,
E quando una parola sentia dir licenziosa,
Coprivasi la faccia, facea la scrupolosa.
Fatte le sue faccende con zelo ed attenzione,
A lavorar mettevasi nel quarto del padrone.
A ogni moto, a ogni cenno che in camera sentiva,
Col lavor nelle mani colà gli compariva.
Udiva i suoi comandi senza mirarlo in viso,
S’ei le dicea uno scherzo, ella facea un sorriso;
Quando di casa usciva, e quando egli tornava,
Ella il padron vestiva, ella il padron spogliava.
D’inverno intiepidiva i suoi vestiti al foco,
D’estate una camiscia metteva in ogni loco;
La mattina per tempo, appena risvegliato.
Era attenta a portargli al letto il cioccolato.
Sa ch’ei mangia di gusto, ed ella ogni mattina
Facea colle sue mani per lui la pietanzina;
La sera stando seco quando l’avea spogliato,
Narravagli i successi di tutto il vicinato,
E avea la sofferenza, per star con esso unita,
Di giocar a tresette di un soldo alla partita.
Un poco di attenzione, un poco di ciarlare.
Un po’ di buona grazia lo giunse a innamorare;
E quando ella s’accorse d’averlo innamorato,
Di diventar padrona la massima ha fondato.
Resa di giorno in giorno ardita sempre più,
Principiò a metter male dell’altra servitù.
Mostrando la spronasse il zelo ed i rimorsi,