Un po’ colle cattive, un poco colle buone,
Lo lo meno pel naso il povero vecchione,
E piluccar ben bene lo voglio in tal maniera,
Da viver da signora col mio bel Baldissera.
Fabrizio. Valentina. (di dentro)
Valentina. Per bacco! il vecchio eccolo qui.
Fabrizio. Valentina. (p’ù forte)
Valentina. Mi chiama sessanta volte al dì?
Fabrizio. Valentina. (come sopra)
Valentina. Si sfiati, se vuol, quest’animale,
Egli ha da far un giorno la fin delle cicale.
Fabrizio. Che tu sia maladetta; possa cascarti il cuore.
(escendo fuori senza veder Valentina)
Dove sei Valenti...?
(scoprendo Valentina, rimane sorpreso)
Valentina. Eccomi qui, signore.
(facendo una riverenza caricata)
Fabrizio. Grido, grido, e non sente. (con isdegno)
Valentina. Grida, grida, e si sfiata.
(con arroganza)
Fabrizio. Perchè non rispondete? (come sopra)
Valentina. Perch’era addormentata.
(come sopra)
Fabrizio. A quest’ora?
Valentina. A quest’ora. Saran quatt’ore e più.
Che ho fatto in questa casa levar la servitù.
Ho fatto ripulire le stanze, il suolo, il tetto,
Ho fatto spiumacciare le coltrici del letto,
Lustrar nella cucina il rame insudiciato,
E han fatto queste mani il pane ed il bucato.
Ma qui non si fa nulla. Qui si fatica invano.
Il padron sempre grida. Che vivere inumano!
Casa peggior di questa non vidi in vita mia;
L’ho detto cento volte, voglio di qui andar via.
Fabrizio. Subito vi scaldate. (mansueto)