Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
NOTA STORICA
«Cambiar prometto il cuore, cambiar il mio costume» aveva detto la donna stravagante in fin di commedia. Ma tenne male la promessa, come si poteva prevedere (cfr. Nota storica, vol. XIII, p. 286). Sotto le nuove vesti di donna bizzarra la capricciosa femmina non cambia modi, nè questa volta rinnova i buoni proponimenti. Corrono tra i due lavori affinità manifeste. L’azione s’accentra intorno a una donna volubile, fredda, dispettosa, e i corteggiatori ne subiscono pazienti ogni capriccio. Sta accanto alla protagonista, efficace giuoco d’antitesi, una fanciulla mite, ingenua, remissiva. Si può ammettere con molta probabilità che nella premessa alla D. b. e nella lettera in testa al decimo volume del Pitteri s’alluda proprio alla Donna stravagante. L’autore intende scusarsi con Francesco Albergati, al teatrino del quale la commedia era destinata, di non offerirgli cosa del tutto nuova. Questa nostra ipotesi è solo in contradizione apparente con la data, perchè al 1760, anno apposto dallo stesso Goldoni alla D. stravagante nelle Memorie (P. II, cap. XLII), convien sostituire, in base a sicure testimonianze sincrone (cfr. Nota cit., p. 285), il 1756. La D. bizzarra invece si diede a Zola, la villa dell’Albergati, nell’estate del 1758 (ed. Pitteri, X, p. 139) e nel gennaio successivo a Venezia. «Subito dopo l’Epifania anderà in Scena la Donna capricciosa» scriveva il 30 dicembre del 1758 il Vendramin al Goldoni, arrivato a Roma in quel mese. Non regge quindi l’affermazione del Mantovani che nel Monte Parnaso, preludio alle recite dell’anno comico 1759-60, Euterpe per bocca di Clio annunci la Donna bizzarra (C. G. e il Teatro di S. Luca, Milano, 1885, pp. 77, 131).
«La Donna bizzarra - scrive il Goldoni - è una giovine vedova, bella, interessante, che ha del merito, ma fu guastata dalla società, e a forza di voler piacere, si fa ridicola» (Memorie, P. II, cap. XLV). Il ridicolo veramente non c’è e le brutte qualità della poco simpatica dama sembrano più inerenti alla sua natura che frutto d’ambiente. Quante volte il Goldoni, dettando i suoi ricordi, travisa addirittura, per difetto di memoria, il contenuto delle sue commedie! Ci sta dinanzi una donna a volta a volta lusinghiera e inaccessibile, che con rare parole dolci e più frequenti sgarbi gode di far ammattire chi la circonda e l’ambisce. Questo pericoloso gioco cessa solo quando s’avvede che l’unica persona, alla quale si senta un po’ inclinata, stanca delle sue arti, sta per isfuggirle. Il lavoro, d’invenzione non nuova nè attraente, ma vivo nella sceneggiatura e nella varietà dei personaggi (buona e allegra macchietta quel barone, giocatore e parlatore eterno), risponde assai bene ai suoi modesti fini. Nulla di più acconcio alle attitudini di filodrammatici e al piccolo suo teatro poteva bramare il mecenate bolognese. Sulle relazioni dell’Albergati col Goldoni cfr. le Note alla Serva amorosa [vol. VIII, p. 307], all’Incognita [VI, 187], al Cavaliere di spirito [XIV, 338] e all’Apatista [in questo, pag. 271].
Quasi punta considerazione diede alla presente commedia la critica. Solo il Meneghezzi, la caccia in mezzo a una curiosa miscela di commedie goldoniane