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336 | ATTO QUARTO |
SCENA X.
Don Armidoro e detti.
Contessa. Che cosa c’è, mio caro?
Armidoro. Sentite una parola. (È venuto il notaro.
L’ho ritrovato alfine, e l’ho condotto qui). (piano)
Contessa. (Bravo, venite meco). (piano ad Armidoro)
Capitano. (E ho da soffrir così?)
Contessa. Capitan, compatite: ho un affar che mi preme;
Quando sarò spicciata, ragioneremo insieme.
Capitano. Prenda pure il suo comodo.
Contessa. Andiam. (ad Armidoro)
Armidoro. Fo il dover mio.
Contessa. Con licenza, signore. (s’inchina al Capitano, e parte)
Armidoro. La riverisco anch’io.
(al Capitano, e parte)
SCENA XI.
Il Capitano, poi Martorino.
Sì, conosco gl’insulti, nè soffiirolli in pace.
Di me, dell’amor mio so che si prende gioco,
Ma chi son io l’ingrata conoscerà tra poco.
Martorino. Signor, la mia padrona a dire a voi mi manda,
Che di qua non partite, lo vuole e lo comanda.
Dice che voi saprete l’affar che ora la chiama;
Dice, protesta e giura, che vi rispetta ed ama;
Che vi ha sentito a fremere mentre partia di qui.
Che vedervi non vuole a delirar così.
E se di lei seguite a far questo strapazzo.
Siete... ve l’ho da dire?
Capitano. Che cosa sono?
Martorino. Un pazzo.
(parte)