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332 ATTO QUARTO
Colla Romana il vostro sia amore, o sia un pretesto,

L’infedeltà condanno, e la finzion detesto.
Questa risoluzione il mio dover mi addita;
L’amicizia fra noi dev’essere finita.
Bastami che dal cuore siate rimproverato,
Ch’io non mento insulti, e che voi siete ingrato.
Capitano. Voi parlate, signora, con un soverchio orgoglio:
Tale non mi sembraste parlare in questo foglio.
E se creduto avessi in voi tal sentimento,
Non mi sarei esposto a un simile cimento.
Provar voi mi faceste mille tormenti e mille,
Volgendo a quello e a questo le tenere pupille.
Vidi schernirmi in faccia più d’un rivale audace,
Fui dall’amor sforzato a tollerarlo in pace.
Ed una volta sola, che ho le vostre arti usate,
Tanto furor vi accende? tanto rumor ne fate?
Quello che a voi dispiace, spiacque a me pur non poco;
Anch’io sento nell’alma della mia stima il foco.
In faccia a tutto il mondo, agli occhi della gente.
S’io colpevole sono, non siete un’innocente1.
Pure dell’error mio vi ho chiesto umil perdono.
Perchè donna voi siete, perchè un amante io sono;
Ma se ad onta di questo voi m’insultate ancora,
Una viltà non soffro. Si ha da morir? si mora.
A costo della vita prevalga l’onor mio;
Se voi siete una dama, son cavaliere anch’io.
Contessa. Eh signor capitano, un po’ men di baldanza;
Meco impiegar dovreste men caldo e più creanza.
Se per voi d’amicizia non avessi io l’impegno,
Non mi vedreste in volto scaldarmi a questo segno.
Se leggeste il mio foglio, avreste in lui compreso,
Ch’io non merito certo, che mi parliate acceso.
Capitano. È vero, il vostro foglio mi aveva speranzato
Di ritrovare in voi un animo placato.

  1. Edd. Guibert-Orgeas. Zatta e altre: voi non siete innocente.