Io vi dirò, signore, qual soglio in confidenza,
È stata una sonora poetica licenza.
Cavaliere. È vero, io non doveva aprir questo viglietto.
Ma non saprei l’arcano, s’io non l’avessi letto.
Da Napoli partito l’altr’ieri per trovare
La zia senza il consorte nel feudo a villeggiare,
Da un mortale accidente la ritrovo assalita,
Che in forse lungamente ci tien della sua vita.
Sa1 che là mi condussi per questa causa sola.
Per chiedere alla madre in sposa la figliuola.
Da lei, che disponeva, sperai la grazia pronta,
Sperai di conseguirla di mio germano ad onta;
Che se per esso inclina della fanciulla il padre,
Molto potea giovarmi il prevenir sua madre.
Fabrizio. Prima ch’ella morisse, non le diceste niente?
Cavaliere. Sì, riavutasi un poco dal primiero accidente,
Qualche cosa le dico; al nome della figlia,
Mirasi un mar di pianto grondar da quelle ciglia.
Taccio per non vederla a terminar di vivere;
Ella sospira e piange, e poi chiede da scrivere.
Forma a stento il viglietto: il camerier chiamato,
Fa che sia in sua presenza il foglio sigillato.
Poscia a me lo consegna; mi prega a suo marito
Recarlo, e poco dopo di vivere ha finito.
Da un lato l’amor mio, dall’altro il suo dolore,
Curiosità violenta fa risvegliarmi in cuore.
Poteasi il di lei pianto creder materno affetto,
Ma il sospirar tacendo mi diè qualche sospetto.
Dopo contrasti vari l’ho finalmente aperto,
E con mia maraviglia l’arcano ho discoperto.
Fabrizio. Ed or che voi sapete quel che non sa nessuno.
Scommetto che di questo vorreste esser digiuno.
Cavaliere. Anzi esser può il mistero utile al mio disegno,
Usando di tal foglio con arte e con ingegno.
- ↑ Così tutte le antiche edizioni. Probabilmente si deve leggere sai.