Ebbi piacer, noi niego, d’avere in casa mia
Di gente d’ogni genere graziosa compagnia,
Fissando nella mente di far finezze a tutti,
Solo per conseguire dell’amicizia i frutti.
Ma sia comun destino, o mia special sventura,
Ciascun l’arbitrio mio di soggiogar procura,
E fra gli adoratori, per dir la verità,
Ho anch’io segretamente la mia parzialità.
Il capitan Gismondo credeasi il preferito.
Ma tollerar non posso quell’animo sì ardito;
Ed ei che se ne avvide, mostra per altri affetto,
Credendo in guisa tale di fare a me un dispetto.
Ma il capitan s’inganna; è il suo pensar da stolto;
Ad un migliore oggetto ho l’animo rivolto.
Non curo il pazzarello, sprezzo i deliri suoi.
Ah sì, tutto il mio cuore l’ho consacrato a voi.
Fabio. Davver?
Contessa. Non so mentire; quel che vi dico, è vero.
Fabio. Deh lasciate, Contessa, ch’io parlivi sincero.
Bramo la grazia vostra quanto bramar si può.
Ma creder quel che dite, per or sospenderò.
Permettete che prima, cara Contessa mia,
Faccia del vostro cuore un po’ di anotomia.
Voi, per quello che dite, aveste compiacenza
Trattar diversi amici con piena indifferenza.
Ma per quanto vogliate mostrarvi universale,
Dite che un più dell’altro nel vostro cuor prevale.
Sento con mia fortuna ch’io sono il prediletto,
Ma me lo dite in tempo, che mi può dar sospetto.
Se è ver che voi abbiate per me cotanta stima.
Perchè non mi svelaste l’inclinazione in prima?
Ora pel capitano siete sdegnata un poco,
E non vorrei servire per comodino al gioco.
Se voi dite davvero, so quel che mi conviene:
Voi stessa esaminate, pensateci un po’ bene.