Baronessa. Umilissime grazie.
(con una riverenza al Capitano)
Contessa. Signor, chiedo perdono.
È in casa mia la dama, e la padrona io sono.
Tocca a me provvederla di quel che le conviene,
Nè vi credea capace da far di queste scene;
Dissi alla Baronessa, e non l’ho detto invano,
Se un parrucchier volete, parlate al capitano.
Ma il capitan doveva dire alla Baronessa:
Il parrucchier migliore è quel della Contessa,
Servitevi del suo; così dovea spiegarsi,
E non subitamente cercar d’ingrazianarsi,
E non farsi ridicolo con tutta la brigata,
Che ormai del capitano son di già stomacata.
Basta; di più non dico. (sdegnosa)
Capitano. Vi ho capito, signora.
Rispondervi saprei, ma non è tempo ancora.
Baronessa. Che cosa è questa collera? Dite, Contessa mia,
Siete con lui sdegnata forse per causa mia?
Contessa. No, amica, compatitemi. Per questo io non mi sdegno;
Ho piacer ch’ei vi serva, dee mantener l’impegno.
Cavaliere. Contessa, voi mostrate, mi par, troppa caldezza.
Contessa. State un’ora a parlare, poi dite una sciocchezza.
(al Cavaliere)
Martorino. Signora.
Contessa. Cosa vuoi? (sdegnosa)
Martorino. Don Fabio.
Contessa. Oh buono buono!
Venga, venga don Fabio, contentissima or sono.
(con allegrezza)
Capitano. (Chi diavol può conoscere il suo temperamento?)
Cavaliere. (Va da un estremo all’altro).
Capitano. (Si cambia in un momento).
Contessa. Conoscerete, amica, un uom celebre al mondo.
Di cui non ha l’Italia, e non avrà il secondo;
Un uom che scrive in versi con tal facilità,