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LA DONNA BIZZARRA | 297 |
SCENA III.
Martorino e detti, poi don Armidoro.
Che brama riverirla. (alla Contessa)
Capitano. (Sempre son qui costoro).
Contessa. Permettete ch’ei venga? (alla Baronessa)
Baronessa. Contessa, mi burlate;
Siete voi la padrona.
Contessa. Ad introdurlo andate.
(a Martorino, che parte)
Capitano. Vedete, Baronessa? a donna di talento
Non manca compagnia; ne trova ogni momento.
Contessa. Vuò veder, se fra tanti ne trovo uno di buono.
Cavaliere. Non ci son io, signora?
Contessa. Oh, vi chiedo perdono, (al Cavaliere)
Armidoro. Servo di lor signori. Contessa, io vi son schiavo.
Contessa. Viva don Armidoro, bravo davvero, bravo!
Venite qui, teneteci un po’ di compagnia;
La Baronessa ed io siamo in malinconia.
Il Cavalier non parla, il capitan, vedete,
Ha i spiriti occupati. Venite qui, sedete.
Armidoro. Signora mia, ier sera...
Contessa. Ier sera io vi piantai.
Davver, don Armidoro, me ne dispiace assai.
Per mancanza di stima certo non vi ho lasciato;
Credetemi, in coscienza, che m’ho di voi scordato.
Armidoro. Di un galantuom scordarsi è averne una gran stima.
Contessa. Via via, non sarà questa l’ultima, nè la prima.
Che fate? state bene?
Armidoro. Sono ai vostri comandi.
Contessa. Volete che ogni volta a ricercarvi io mandi?
Una grande amicizia davver mi professate,
Se così facilmente di me voi vi scordate!
Parmi che si dovrebbe venir con più frequenza.