Per proseguir col padre verso Milano il viaggio.
Bramo di divertirla, bramo col mezzo vostro
Far che prenda concetto miglior del cielo nostro.
E sono sicurissima, che averà Mantua in pregio,
Due cavalier trattando che han delle grazie il fregio.
Capitano. Ora scherzar vi piace, signora mia, lo vedo;
Atto a simile impresa alcun di noi non credo.
Il cavaliere Ascanio parlar suol con fatica;
Io parlo troppo, e male, nè so quel che mi dica.
E della città nostra con tal conversazione
Non può la Baronessa aver grand’opinione.
Cavaliere. Fate le scuse vostre, le mie le farò io;
Rimprovero non merta, se scarso è il parlar mio.
Non stracca e non inquieta un uom che parla poco,
E sono i parlatori noiosi in ogni loco.
Capitano. Che favellare è il vostro? (con isdegno)
Cavaliere. Rispondo a chi promove.
(scaldandosi)
Contessa. Signori miei, pensate con chi voi siete, e dove:
In casa mia, vel dico, le risse io non sopporto.
Capitano. Ma il Cavalier m’insulta....
Contessa. No, voi avete il torto.
Capitano. Contro di me congiurasi, e ho da soffrire ancora?...
Contessa. Basta così, vi dico. Chi è di là?
Martorino. Mia signora.
Contessa. Va dalla Baronessa; dille che or or da lei
Passerò, se le aggrada, con questi amici miei.
Ma se il Baron vi fosse, padre della fanciulla,
Sospendi l’imbasciata, e non le dir più nulla.
Nelle conversazioni piace il parlare alterno,
Ma il baron Federico è un seccatore eterno.
Dal signore don Fabio va poscia immantinente,
Digli che di vederlo sono ormai impaziente;
Che son più di tre giorni, ch’io non lo vedo qua,
E che faremo i conti quando da me verrà.