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nel carnovale del 1810 nel famoso teatro di Ca’ Foscari a Venezia (cod. Cicogna 3367, e. s.: note dell’ing. Gio. Casoni); lo vediamo nel teatro filodrammatico di Milano, nel giugno 1807 (G. Martinazzi, Acc.ia de filodr.ci ecc., Mil., 1879). Scarse tracce di fortuna lunghissima. - Più facile è raggiungerlo sui teatri pubblici dell’Ottocento: a Venezia (20 lugl. 1818 a S. Benedetto, comp. Andoifatti: v. Gazzetta privileg.), a Bologna (21 sett. 1820 all’Arena del Sole, comp. Perotti: v. Giorn. delli teatri comici, in Bib.ca teatrale, Ven., Gnoato), a Torino (1821, comp. Reale Sarda: v. G. Costetti, p. 13).

Non posso qui fare a meno di riferire ciò che ebbe a scrivere nel suo Censore Universale dei teatri (I, n. 87) Luigi Prividali, all’indomani d’un’altra recita sul teatro Re di Milano, nell’ott. 1829, da parte di quella Compagnia Ducale di Modena, a cui spetta, in grazia di Franc. Aug. Bon, la lode più bella del risvegliato amore per il Goldoni sulle scene nell’Ottocento. «...Emerge poi con un merito molto maggiore questa stessa difficile facilità nel signor Romagnoli [Luigi], quando ci si presenta come Apotista. Per far rilevare questo personaggio in tutto il valore del suo carattere un abilità sufficiente non basta, ce ne vuole una di altissimo grado. Se il parlare del signor Romagnoli non fosse in versi rimati, illudere io mi potrei facilmente, che le sue parole fossero da lui stesso create, e ch’egli invece d’essere sul palco scenico, si trovasse effettivamente nella propria casa, tanta è la naturalezza con cui egli si trasforma e mi rappresenta l’indifferente. Nè corrisponde egli soltanto alla volontà del poeta in tutto ciò che sta scritto, ma indovina ben anco tutte le di lui intenzioni nel suo accortissimo sceneggiamento. Lo secondano con valore soprattutti il signor Alberti [Daniele], ed anche i signori Conti [Filippo] e Monti [Pietro]. Sui due Alberti figli [Adamo e Giulietta] resterebbe a fare qualche eccezione. La parte del fanfarone è bellissima, offre all’attore un infinita di risorse, ma per conoscerle tutte ed approfittarne bene, ci vuole una penetrazione superiore agli anni di età e d’esercizio drammatico del giovinetto Alberti. Quella poi della sposa ha tutta l’apparenza che sia stata poco studiata dalla egualmente giovinetta di lui sorella. Goldoni ha molte di queste parti, l’importanza delle quali dipende, come dissi superiormente, dalla maniera di recitarle. Quella vanità femminile più lusingata dalle espressioni d’un fervido amante, che dalla sicurezza d’un ottimo consorte; quel contrasto tra le inclinazioni del cuore ed i suggerimenti della ragione; quel sentimento mortificato dall’indifferente, ed esaltato dall’amante; le tre scene poi col pretendente violento, coll’aspirante pacifico, e coll’appassionato amatore offrono all’attrice tre tanto differenti situazioni da farsi immensamente valere. Non meritava questa bellissima parte, che madama Bon [Luigia] si dispensasse d’assumerla; dalla sua bocca io avrei voluto sentire quel lungo discorso coll’Apatista, che qui lo intesi sensibilmente negletto e precipitato. Imprese per verità sono queste che domandano molta finezza d’ingegno ed una gran forza di raziocinio».

Il Censore ha ben additato le scene capitali che danno il carattere originale alla presente commedia: scene che servono a rivelarci una figura nuova di donna nel lungo corteo femminile del teatro di Goldoni. Peccato che Lavinia parli troppo a lungo nel colloquio col Cavaliere in fine del secondo atto, com’era difetto dei Francesi; e parli tanto male nel colloquio supremo con don Paolino. E peccato che don Paolino, tipo notevole di innamorato, di rado trovi il lin-