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242 | ATTO TERZO |
SCENA VIII.
Fabrizio e detti.
Cavaliere. Che cosa c’è?
Fabrizio. Il signore Giacinto con della gente armata,
Fra gli alberi nascosta, la casa ha circondata.
Egli ci pose intorno una specie d’assedio.
Venga a vedere.
Paolino. Indegno.
Cavaliere. Pensiamo ad un rimedio.
Contessa. Duolmi per mia cagione...
Paolino. Anderò io, lasciate...
(si alza furiosamente)
Cavaliere. Don Paolin, fermatevi, non vuò che vi scaldiate.
(s’alza)
Di accendere un gran foco bisogno ora non c’è;
Di rimediare al tutto resti il pensiere a me.
Contessa. Deh, non vi cimentate. (al Cavaliere, allandosi)
Cavaliere. Di ciò non vi è periglio.
Porvi saprò rimedio coll’arte e col consiglio.
Paolino. Accendere mi sento di una vendetta il cuore.
Cavaliere. Noi possiam vendicarsi senza un soverchio ardore.
Contessa. Possibil, che possiate udir placidamente
Di un indegno le trame?
Cavaliere. Io non mi scaldo niente.
Paolino. Per difender la dama, la vita arrischerei.
Cavaliere. Arrischiare la vita? Sì pazzo io non sarei.
Contessa. Dunque espormi volete ad un novello oltraggio.
Cavaliere. No, ma spero difendervi con un maggior vantaggio.
Contessa. Come?
Cavaliere. Venite meco. Andiam, don Paolino.
Vi svelerò fra poco quello ch’io far destino.
Contessa. A voi mi raccomando. (al Cavaliere e a don Paolino)