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240 ATTO TERZO
Paolino. (Pazienza!) (taglia della carne di manzo per il Conte)

Conte.   Un poco più; non sono un collegiale.
Cosa avete paura? ch’ella mi faccia male?
Anche un po’ di vitello, e un po’ di grasso unito.
Cavaliere. Mi rallegro con voi, trovaste l’appetito. (al Conte)
Conte. Eppur non istò bene. Un acido mi sento...
Cavaliere. Bevete un po’ di vino.
Conte.   Vuò fare il fondamento.
(si mette a mangiare)
Contessa. Il Cavalier col padre discorre e si trattiene;
E qual io non ci fossi, di me non gli sovviene.
Cavaliere. Eccomi, son da voi. Cosa mi comandate?
Volete del ragù? Don Paolin, trinciate.
Paolino. Ella da me il ricusa, son di servirla indegno.
Cavaliere. Se sfortunato or siete, non lo prendete a sdegno.
Fate quel ch’io vi dico, e torneravvi in bene;
Rassegnatevi in pace al mal siccome al bene,
E dite fra voi stesso, con animo giocondo.
Se una donna mi sprezza, non è finito il mondo.
Contessa. Voi così ragionate? (al Cavaliere)
Cavaliere.   Ragiono istessamente.
Contessa. Dunque, se vi sprezzassi, sareste indifferente.
Cavaliere. Perdonate, Contessa, mentir non son capace:
Se voi mi disprezzaste, vorrei soffrirlo in pace.
Direi, della sua grazia s’ella mi crede indegno,
S’ella mi niega amore, ch’io non lo merto è un segno.
Paolino. Ed io giuro d’amarla schernito e disprezzato.
Contessa. Ora voi non c’entrate, con voi non ho parlato.
(a don Paolino)
Paolino. Soffro gl’insulti, e taccio.
Contessa.   (A torto lo strapazzo), (da sè)
Cavaliere. (Povero Paolino! Ei mi rassembra un pazzo). (da sè)
Ehi, cambiate la tavola, se non si mangia più. (ai servi)
Conte. Lasciatemi sentire quel piatto di ragù.
Cavaliere. Levategli quel tondo. (ai servitori)