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238 ATTO TERZO
Ed oggi ancora meno per via della paura.

Cavaliere. Se mangiar non volete, io non vi obbligherò.
Conte. Eh, sediamoci intanto, che poi mi proverò.
Cavaliere. La Contessa nel mezzo. Il genitor vicino.
Conte. Vuò star, se il permettete, in questo cantoncino;
Ancora in casa mia sto sempre in un cantone.
(Così potrò mangiare con minor soggezione). (da sè)
Cavaliere. Segga don Paolino presso la dama intanto.
Paolino. E voi?
Cavaliere.   Vicino ad essa andrò dall’altro canto.
(siedono tutti)
Paolino. (Spiega la salvietta alla Contessa, e le taglia il pane ecc.)
Contessa. No signore, è superfluo vi stiate a incomodare.
Ho il Cavalier vicino. (a don Paolino)
Cavaliere.   Ma io non saprò fare.
Paolino. Se di ciò vi offendete...
Cavaliere.   No, fate pur, l’ho a caro.
Servitela la dama, che in questo mentre imparo.
Presentate la zuppa. Io non lo faccio mai.
Conte. Per me, don Paolino, minestratene assai.
Paolino. Basta così? (mette la zuppa nel tondo per il Conte, dopo averne dato alla Contessa.)
Conte.   Anche un poco.
Cavaliere.   Io non ne son portato.
Dategli la mia parte.
Conte.   Sì, vi sarò obbligato.
(mangia la zuppa)
Contessa. Un tondo. (al sewitore)
Paolino.   Favorite. (gli leva dinanzi il tondo della zuppa)
Contessa.   È vano il lusingarsi,
Che il signor Cavaliere si degni incomodarsi.
(al Cavaliere)
Cavaliere. Compatite, Contessa, per questo io non son fatto.
Paolino. Spiacevi ch’io la serva?
Cavaliere.   No davver, niente affatto.