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234 | ATTO TERZO |
Conte. Tutto quel che volete.
Giacinto. O accettate la sfida, o adopero il bastone.
Conte. Sono un povero vecchio.
Giacinto. Voglio soddisfazione.
Conte. Aiuto. (gridando verso le scene)
Giacinto. Anima vile.
Conte. Gente; chi mi difende?
SCENA IV.
La Contessa e detti.
Giacinto. Io son quello, signora, cui mancasi al contratto,
E dell’azion villana voglio esser soddisfatto.
Contessa. Se il genitor vi manca, da me vien la cagione.
Eccomi qui, son pronta a dir la mia ragione.
Conte. Brava, figliuola mia. (Andrò in un altro loco
Con un pezzo di pane a ristorarmi un poco).
(prende dalla tavola un pane, e parte)
SCENA V.
La Contessa e Giacinto.
Giacinto. D’un genitor la fondo sul stabilito impegno.
La fondo di una figlia sul zel d’obbedienza,
Sul dover, sul rispetto e sulla convenienza.
Contessa. Rispondo in due parole: il padre non dispone
Del cuor della figliuola, se il di lei cuor si oppone.
Ed una figlia umile ad obbedire è presta,
Quando di chi comanda sia la ragione onesta.
Il dover lo conosco, non manco al mio rispetto,
So della convenienza non trascurar l’oggetto;