Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1912, XV.djvu/241


L'APATISTA 233
Conte. (Povero me!) (vedendo Giacinto, s’intimorisce)

Giacinto.   (Costoro mi piantano così?)
Ecco il Conte; ho piacere di ritrovarvi qui.
Conte. Signor, che mi comanda?
Giacinto.   Voglio soddisfazione.
Conte. Di che?
Giacinto.   Di questa vostra indegnissima azione.
Conte. Parlaste colla figlia?
Giacinto.   Udirmi ella non vuole.
Conte. Meco dunque gettate il tempo e le parole.
Giacinto. Chi ha soscritto il contratto?
Conte.   Io, ma con condizione.
Giacinto. Che condizion?
Conte.   Che fossevi di lei l’approvazione.
Giacinto. Non siete voi suo padre?
Conte.   Esserlo almeno io spero.
Giacinto. Siete un uomo di stucco.
Conte.   Sì, signor, sarà vero.
Giacinto. Voi pensar ci dovete, pria che di qua men vada.
Voglio soddisfazione.
Conte.   Come mai?
Giacinto.   Colla spada.
Conte. Io non so far duelli.
Giacinto.   V' insegnerò, signore.
Conte. Grazie, la non s’incomodi.
Giacinto. Animo, andiam qui fuore.
Conte. Dove?
Giacinto.   A battervi meco.
Conte.   Siete voi spiritato?
Lo sapete, signore, che non ho ancor pranzato?
Giacinto. Animo, meno ciarle.
Conte.   Ma via, per carità.
Lasciatemi mangiare, e poi si parlerà.
Giacinto. Non ho tempo da perdere.
Conte.   Andarvene potete.