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L'APATISTA 223
Paolino. La dolcissima legge di sofferir non sdegno.

Spero pietà e perdono da un Cavalier sì degno.
Faccia di me la sorte quello che far destina,
Al voler delle stelle il mio voler s’inchina. (parte)

SCENA VII.

Il Cavaliere e la Contessa Lavinia.

Cavaliere. (Sì fa vedere a ridere.)

Contessa. Signor, perchè ridete?
Cavaliere.   Non son mie risa insane;
Tutte mi fanno ridere le debolezze umane.
Contessa. Debolezza vi sembra il sospirar d’amore?
Cavaliere. Ogni passion derido, quando si perde il cuore.
Contessa.   Dunque voi non amate.
Cavaliere. Anzi d’amar mi vanto.
Ma credo amar si possa senza i sospiri e il pianto.
Contessa. Se amar senza sospiri, signor, voi siete avvezzo,
Non conosceste ancora del vero amore il prezzo.
Cavaliere. Se il vero amor fa piangere, Contessa mia, vel giuro,
Questo sì bell’amore conoscere non curo.
Contessa. Buon per me, ch’io lo sappia pria che per voi mi accenda.
Cavaliere. Per me non vi è pericolo, che accesa amor vi renda.
Siete già prevenuta.
Contessa.   Tutto ancor non sapete,
Vi svelerò il mio cuore.
Cavaliere.   Ne avrò piacer. Sedete.
(siedono)
Contessa. Da molt’anni, il sapete, perdei la cara madre;
Per custodir miei giorni debole troppo è il padre;
Veggo che nell’etade principio ad avanzarmi.
Onde è in me necessario l’idea di collocarmi.
Nel povero mio stato gran sorte io non sperai,
Un mediocre partito di conseguir bramai;