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L'APATISTA 207
Non so a qual condizione il padre mi destini;

E in voi, don Paolino, che siete un uom d’onore,
Lascio alle mie ragioni l’amico e il difensore. (parte)

SCENA IV.

Il Conte, il Cavaliere e don Paolino.

Paolino. (Or son bene imbrogliato).

Cavaliere.   Don Paolino, si vede
Ch’io sono un uom sospetto, e che in voi solo ha fede.
Paolino. Se di ciò vi dolete, io parto in sul momento.
Cavaliere. No, no, restate pure, anzi ne son contento.
Un uomo come me, che parla chiaro e tondo,
Non teme di spiegarsi in faccia a tutto il mondo.
Parli il Conte a sua posta, e quando egli ha parlato,
Fate voi per la dama l’amico e l’avvocato.
Conte. In pochissimi accenti dirò il mio sentimento.
D’Alfonso mio cugino vi è noto il testamento.
Per noi siamo prontissimi a dargli esecuzione;
Di voi saper si brama quale sia l’intenzione.
Cavaliere. Dirò...
Paolino.   Con buona grazia; pria che il parlar si avanzi,
Del cuor della fanciulla siete sicuro innanzi?
Conte. Non crederei che avesse dissimile intenzione;
E poi son io suo padre, son io quel che dispone.
Paolino. È ver, ma il di lei cuore meglio convien sapere.
Nè si dee ad un affronto esporre il Cavaliere.
Cavaliere. No, amico, vi ringrazio; so compatire il sesso;
Mi accetti, o mi ricusi, per me sarà lo stesso.
Basta che non si dica, ch’io sono un uomo ingrato
Al zio, che a mio dispetto mi vuol beneficato.
Conte. Meglio non può parlare. Su dunque, in testimonio
D’amor, di gratitudine, facciamo il matrimonio.
Paolino. Farlo per l’interesse sarebbe un folle inganno:
Non ebbe il testatore l’idea d’esser tiranno.