Paolino. Dagli occhi e dalle labbra il di lei cuor comprendo.
,alla Contessa, in modo di rimproverarla con arte)
Conte. Ah! che dite, figliuola? (alla Conlessa)
Contessa. (Don Paolino intendo), (da sè)
Paolino. Il Cavaliere anch’esso arde d’amor per lei.
Conte. Sentite? rispondete. (al Cavaliere)
Cavaliere. Non dico i fatti miei.
Conte. Orsù, noi siam venuti...
Contessa. Per divertirci, a caso.
(con aria sprezzante)
Cavaliere. Via, non vi affaticate, che ne son persuaso.
(alla Contessa)
Conte. Sì signor, siam venuti a caso, come vuole;
Ma posto che ci siamo, diciam quattro parole.
Parliam del testamento...
Contessa. Signor, con sua licenza, (s’alza)
Parlar di tal affare non deesi in mia presenza.
Se immaginar poteva tal cosa intavolata,
Signor, ve lo protesto, non mi sarei fermata.
Impedire non deggio che il genitor ragioni;
Servisi pur, ma intanto, s’io vado via, perdoni.
D’uopo di mia presenza in quest’affar non c’è.
Le mie ragioni il padre può dir senza di me.
Egli non ha bisogno della figliuola allato.
Conte. Ma io senza di voi mi troverò imbrogliato.
Cavaliere. Sola vuol la Contessa partir da questo loco?
Contessa. Anderò nel giardino a passeggiare un poco.
Conte. Dunque il parlar sospendo.
Contessa. Anzi parlar dovete.
Conte. Ma che poss’io risolvere, quando voi non ci siete?
Io non ho gran memoria; mi scordo facilmente.
Contessa. Con voi don Paolino può rimaner presente.
Paolino. Ch’io nel giardin vi serva, signora mia, sdegnate?
Contessa. Per compagnia del padre bramo che voi restiate.
Non so se il Cavaliere in mio favore inclini,