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L'APATISTA 205
Conte.   Si vede apertamente.

(alla Contessa)
Cavaliere. Eppure il mio rispetto in ogni tempo e caso
Son pronto a dimostrarle. (al Conte)
Conte.   Di ciò son persuaso.
Paolino. Questo linguaggio oscuro capite, Conte mio,
Cosa voglia inferire? (al Conte)
Conte.   Non lo so nemmen io.
Contessa. Pare che non vi voglia a intenderlo gran cosa:
Il Cavalier paventa ch’io voglia esser sua sposa;
Teme che il testamento ad osservar lo astringa,
Ch’io voglia porre in pratica la forza o la lusinga.
Spiacegli rinunziare de’ beni una metà;
Meco goderli unito inclinazion non ha.
Il coraggio gli manca per dire, io non ti voglio;
Cerca le vie più facili per ischivar lo scoglio.
Onde in forma ci tratta dubbia, confusa e strana.
Parvi che al ver mi apponga? (al Conte)
Conte.   Non siete al ver lontana.
Cavaliere. La Contessa s’inganna, s’ella mi crede avaro;
Poco i comodi apprezzo, pochissimo il danaro.
Tanto è lontan ch’io peni seco a spartire il frutto.
Che se il desia, son pronto a rilasciarle il tutto.
Molto più sbaglia ancora, se crede ai desir miei
Possa riescir penoso il vincolarmi a lei.
Del zio dopo la morte non si è parlato ancora.
Il mio pensiere in questo non ispiegai finora;
E se in lei tal sospetto senza ragion prevale,
Sembra ch’ella mi sprezzi. (al Conte)
Conte.   Affè, non dice male.
(alla Contessa)
Paolino. Conte, non vi affliggete, temendo i loro sdegni;
Questi arguti rimproveri sono d’amore i segni.
Da così buon principio molto sperar conviene.
Conte. Don Paolino, io credo che voi diciate bene.