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L'APATISTA 199
Cavaliere. Con quella indifferenza, con cui della sua morte

Ho ricevuto il colpo, accolta ho la mia sorte.
Cosa son questi beni? Parlo col cuor sincero.
Ricusarli non deggio, ma non li stimo un zero.
Col scarso patrimonio dal padre ereditato
Vissi finor tranquillo, contento del mio stato.
Finor la mensa mia ebbi ogni dì imbandita
D’alimento discreto per conservarmi in vita.
Potei decentemente finora andar vestito.
Un servitor bastavami per essere servito.
Qualche piacer potevami prendere onestamente;
Avea de’ buoni amici, vivea felicemente.
E misurando i pesi colle mie scarse entrate,
Le partite bastavami vedere equilibrate.
Or le nuove ricchezze a che mi serviranno,
Se non se per accrescermi qualche novello affanno?
Ma io, per evitare qualunque dispiacenza,
Serberò in ogni stato l’usata indifferenza.
Paolino. Un simile costume è ottimo, lo so;
Ma sempre indifferente essere non si può.
Nascono di quei casi, in cui non val ragione
Per superare i stimoli d’ingenita passione.
L’uomo non è insensibile; lo stoico più severo
Pena sugli appetiti a sostener l’impero;
E ad onta dello studio, in pratica si vede.
Che alla natura umana l’uom si risente e cede.
Cavaliere. Tutti siam d’una pasta, anch’io ve lo concedo,
Ma vincolato il cuore negli uomini non credo.
Se fossimo costretti cedere alla passione,
Inutile sarebbe l’arbitrio e la ragione;
Nè merto, nè demerito si avria nel mal, nel bene,
Lo che all’uom ragionevole di attribuir sconviene.
E il seguitar dell’anima i volontari aiuti,
È quel che ci distingue dal genere dei bruti.