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più tardi nei Mémoires, bisogna credere: tanto più, osserva G. Merz, che la commedia è dedicata al Paradisi esperto della letteratura d’oltralpe, e che fra i due lavori, di misura così diversa, nulla vi ha di comune (C. G. in seiner Stellung zum französischen Lustspiel, Leipzig, 1903, p. 31). Nulla, naturalmente, tolto il tema, e tolto il caso fortuito, punto strano nel teatro del Settecento, che il difetto del contradire, attribuito alla moglie d’un uomo troppo debole, serva a interrompere il matrimonio d’una fanciulla in casa. Anzi, chi faccia un vero esame, osserverà una medesima convinzione nelle due protagoniste di subire l’offesa continua delle contradizioni altrui; una medesima ostentazione di indipendenza; un’aria consimile di protezione verso la fanciulla vittima. Che se madama Oronte alla fine della commediola, invece di pentirsi, se ne va infuriata dalla scena gridando e minacciando, la goldoniana Dorotea si mostra scettica sul proprio cambiamento, che sorridendo chiama «favola da scena» (più ardito era stato G. nella Famiglia dell’antiquario). Tutto ciò avvertì bene l’autore veneziano, quando potè assistere a Parigi alla recita dei modestissimo capolavoro di Dufresny (v. pref. cit.): ma le differenze sono poi tali e tante fra la piccola farsa francese e la commedia italiana, che un paragone non regge. — Solo per ignoranza Girol. Dorigoni, stampando nel 1772 a Venezia 15 commedie, tradotte, dell’autore francese, potè dichiarare ch’erano state la scuola favorita di C. Goldoni; e per ignoranza Dom. Caminer, estensore della Europa letteraria, ribattendo la strana affermazione, faceva una riserva per lo Spir. di contrad. (Europa lett., t. III, P. Ia, p. 105. — Come mai ai nostri dì cadde nello stesso errore R. Schmidbauer? Das Komische bei G., Monaco, 1906, p. 127. - A Dufresny, più che al Goldoni, parve attingere l’Albergati nel suo primo e misero esperimento teatrale, l’Amor finto e l’amor vero 1765, solo invertendo il sesso).

Il Goldoni non si accontentò di metterci in mostra il carattere ostinato di Dorotea, nè si valse della fanciulla per far impigliare la donna nelle reti delle sue proprie contradizioni, ma creò una figura originale che riuscisse a dominare quello spirito vanitoso e inconciliabile, e a piegarlo fin dove volesse. Anche questa è psicologia. («G. a très finement conduit la transformation du caractère de Dorotea:» C. Dejob, La femme dans la comédie etc, Paris, 1899, p. 39). Ho detto originale nel teatro il conte Alessandro, non già nuovo per il Goldoni, poichè si tratta, chi ben guardi, dell’antico uomo di mondo, del vecchio cortesan, ma ingentilito: è il cavaliere di buon gusto, è, meglio ancora, il cavaliere di spirito, uscito appena in quella state dalla fantasia del Dottor veneziano, il quale una volta di più ci dimostra la sua singolarissima attitudine a interpretare le molteplici apparenze d’uno stesso carattere. Un tal personaggio ferma oggi la nostra attenzione a preferenza della protagonista: poichè seanche costei non rischia di cadere come madama Oronte nella caricatura, ha per forza talvolta qualche cosa in sè di artificioso. — Altri tipi di donne ricordiamo nel teatro goldoniano, pure piene di contradizioni e di ostinazione. Più volte ci torna a mente la Famiglia dell’antiquario. Notissimo poi ci riesce quel balordo marito (Rinaldo), che il Goldoni si diverte a sferzare con tutto il cuore (M. Merlato, Mariti e cavalier serventi nelle comm. di G., Firenze, 1906. p. 30): e sotto le spoglie del vecchio Ferrante, suo padre, riconosciamo a volte, o ci par di riconoscere, l’arguta faccia di Pantalone.