Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1912, XV.djvu/182

174 ATTO QUARTO
Negar d’incomodarvi è un po’ di superbietta.

Dorotea. Io non lo fo per questo, ma in simile stagione
Non vuò a morir di freddo andar nel camerone.
Conte. Freddo?
Dorotea.   Non lo sentite?
Conte.   Avete pur sofferto
Di pranzar questa mane col finestrone aperto.
Andiam, signora mia.
Dorotea.   Che firmino il contratto;
Io verrò a consolarmi, allor che l’avran fatto.
Conte. Per poscia lamentarvi, come faceste in prima,
Che mancan di rispetto, che mancano di stima.
Dorotea. Se mandano a invitarmi, hanno al dover supplito.
Conte. E voi mancar volete nel ricusar l’invito?
Dorotea. Posso d’intervenirvi lasciar per umiltà.
Conte. Signora, in confidenza, questa è un’inciviltà.
Dorotea. Voi così favellate? così mi difendete?
Conte. Il difensore io sono, quando ragione avete.
Dorotea. Leviamoci la maschera. Dunque ragion non è,
Se hanno di me bisogno, che vengano da me?
Conte. In ciò dite benissimo; se han bisogno di voi,
Vengano rispettosi a fare i dover suoi.
Ma il punto sta, signora, per dir la verità.
Che nol fanno per obbligo, ma sol per civiltà.
Dorotea. Per obbligo nol fanno? Conte, codesta è buona.
Chi son io in questa casa?
Conte.   Voi pur siete padrona.
A voi dalla famiglia si devono gli onori,
Voi comandar potete ai vostri servitori.
Tutti han da rispettarvi. Ma a dirla in confidenza,
Il suocero non ha da voi tal dipendenza.
Impugnerei la spada contro chi vi offendesse.
Vorrei che tutto il mondo giustizia vi facesse.
Difendervi procuro, procuro di esaltarvi.
Ma quando avete il torto, io non posso adularvi.