Non è merito mio sì docile talento,
Ma frutto generoso di un bel temperamento.
Dorotea. Eppure irragionevole il mondo mi suppone;
Voi che mi conoscete, voi fatemi ragione.
Ed io che qualche volta posso ancora ingannarmi,
Protesto, in ogni tempo, a voi di riportarmi.
Conte. (Questo è quel che mi basta, ma ancor non ne son certo).
Voi avete, signora, un intelletto aperto.
La veritade, il merito distinguere sapete;
Veggo che per modestia dipendere volete.
Ed io corrispondendo a un simile pensiero,
Senza riguardo alcuno vi parlerò sincero.
Dorotea. (Coll’aiuto del Conte farò valere il voglio).
Conte. (S’ella di me si fida, abbasserà l’orgoglio).
Permettete, signora, che al suocero e al marito
Mandisi immantinente un cordiale invito.
Vengano assicurati, che voi per secondarli...
Dorotea. No, Conte, andate voi piuttosto a ritrovarli.
Conte. Se li facciam venire, la cosa è più decente.
Dorotea. Ora non vuò che vengano; ho un’altra cosa in mente.
Conte. Ma voi, signora mia, credo che mi adulate.
Mostrate di rimettervi, e poi mi contrastate?
Dorotea. Di grazia, compatitemi per questa volta sola;
Dipenderò in tutt’altro, vi do la mia parola.
Anzi con quel ch’io medito nel mio pensier, vi giuro
Che l’intenzione vostra di soddisfar procuro.
L’opera a far compita il mio cervel lavora.
Conte. Posso saper il modo?
Dorotea. Non lo vuò dir per ora.
Conte. Fatemi la finezza.
Dorotea. No, Conte, dispensatemi.
Per questa volta sola in libertà lasciatemi.
Conte. Bene: vuò soddisfarvi. Attenderò l’effetto
Del vostro meditato recondito progetto.
Vo a ritrovar gli amici, vo a consolarli tutti,