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156 ATTO TERZO
Fabrizio si è calmato, Roberto vi sospira.

Ciascun, cara Camilla, a consolarvi aspira.
Soffrite ancora un poco, vediam se Dorotea
Placida corrisponde alla comune idea;
Ma quando poi si ostini...
Cammilla.   Via, che farete allora?
Rinaldo. Farò quel che conviene.
Cammilla.   Voi troverete1 ancora.
Giovine più di voi son di molt’anni, il veggio.
Poco conosco il mondo, e consigliar non deggio;
Ma dall’amor fraterno spinta a parlar sincera.
Voi mi perdonerete, s’io vi favello altera.
Vergogna è che un par vostro, padrone in queste soglie,
Si lasci il piè sul collo mettere dalla moglie.
Se mi toccasse in sorte un uom sì poco esperto.
Non seguirei l’esempio di mia cognata al certo,
Ma quanto compiacermi saprei di sua bontà,
Sarebbemi altrettanto odiosa la viltà.
Amatela la moglie con il più forte impegno.
Siate condescendente, ma fino a un certo segno.
Con voi se la consorte indocile si mostra.
Se vuole soperchiarvi2, la colpa è tutta vostra;
È quasi è compatibile il suo costume ardito.
Se in pace lo sopporta il semplice marito.
Rinaldo. Piano, che non vi senta. (guardando d’intorno)
Cammilla.   Povero mio germano.
Temete ch’ella venga con il bastone in mano?
Rinaldo. È ver ch’è una testacela, ma non è poi sì stolta.
Cammilla. Se verrà col bastone, sarà la prima volta?
Rinaldo. Orsù, parliamo d’altro.
Cammilla.   Sì sì, d’altro parliamo.
Oggi con questo freddo interizzir dobbiamo?
Per lei s’ha da mangiare in un salone aperto?

  1. Così nel testo.
  2. Così le edd. Guibert-Orgeas, Zatta ecc. Nell’ed. Pitteri si legge: Se vuol suppeditarvi ecc.