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154 ATTO TERZO
Per tutta la città vogli’ essere una tromba,

Non vuò che il vostro merito a un tal destin soccomba.
Voglio farvi risplendere in fatti ed in parole,
Come di mezzogiorno splendono i rai del sole.
Dorotea. (Il credito del Conte mi può servir d’aiuto.
D’un fortissimo appoggio il ciel mi ha provveduto).

SCENA IV.

Foligno e detti.

Foligno. Ecco, se lo comanda, il caldanin col foco.

Dorotea. Portalo via, la testa ho riscaldata un poco.
Conte. Non vel dissi, signora, che l’aria è riscaldata?
Dorotea. No, non è ver. Poc’anzi sentivami gelata.
Ma riscaldarmi io sento, amabil cavaliere,
Dalle vostre parole dolcissime sincere.
Portalo via, ti dico.
Foligno.   (Si scalda molto presto).
Vuole che diano in tavola? Il desinare è lesto.
Dorotea. Il suocero ove mangia?
Foligno.   In camera soletto.
Dorotea. Conte, cosa ne dite? fa tutto per dispetto.
È possibile mai, s’io dico una parola,
Che soddisfar mi vogliano neanche una volta sola?
Anch’io tant’altre cose per compiacer sopporto.
Per desinare in sala credo non saria morto.
Conte, voi per mia parte dite al suocero mio,
Che s’ei non viene in sala, sto nel mio quarto anch’io.
Son buona, son discreta fino ad un certo segno.
Ma se mi fanno un torto, colla ragion mi sdegno.
Voi che mi conoscete, ditegli a aperta ciera,
Ch’io son, come mi vogliono, e docile, ed altiera;
E che se i lor dispetti mi fan venir la rabbia.
Dirò anch’io: chi la pace non vuol, la guerra s’abbia.
(parte)