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LO SPIRITO DI CONTRADIZIONE 153
Esser sapete a un tempo e risentita, e umana.

Ah, chi può non accendersi d’una virtù sì strana?
Dorotea. Caro Conte, possibile che oggi da me venuto.
Abbiate quel ch’io sono sì presto conosciuto?
Tanti che ho praticato, da che son maritata,
Nel fondo, come voi, nessun mi ha ravvisata;
Avvezzi colle donne deboli per natura.
Suol loro una virtude sembrar caricatura.
Quell’onorato sdegno che risentire io soglio,
Credono che dipenda dall’ira e dall’orgoglio.
Ed il cambiar ch’io faccio in umiltà lo sdegno,
I sciocchi non comprendono, che di buon cuore è un segno.
Conte. Grand’ignoranza invero! io sol per mia fortuna
Scorgo quanta bellezza nel vostro cuor si aduna.
Non vi conosce il mondo, e con mia maraviglia
Siete mal conosciuta perfin dalla famiglia.
Il suocero, il marito, mi perdonino anch’essi.
Sono nel ravvisarvi dall’ignoranza oppressi.
Dovrebbero d’accordo ringraziar la sorte
D’aver sì degna nuora, sì amabile consorte.
Dorotea. Anzi son essi i primi a disprezzarmi ingrati
Con titoli ingiuriosi, da me non meritati.
Conte. Voglio, signora mia, voglio, se il ciel m’aiuta.
Rendervi per giustizia da tutti conosciuta.
Sopra di me l’impegno mi prendo arditamente,
Se il vostro cor l’approva, se l’umiltà il consente.
Dorotea. Conte, gli sforzi vostri temo che riescan vani.
Malagevole impresa è il persuader gl’insani.
Conte. Fidatevi di me; s’io vi conosco appieno,
D’illuminare i ciechi non mi negate almeno.
S’io penso al caso vostro, sentomi venir caldo.
Vuò illuminar Ferrante, vuò illuminar Rinaldo,
E Fabrizio, e Roberto, e Gaudenzio istesso,
E i parenti, e gli amici dell’uno e l’altro sesso;